Neanche la pandemia aveva ridotto la storica tendenza degli italiani a risparmiare. Ci sono riusciti l’inflazione e il carovita che hanno invertito il trend e portato a una erosione dei conti correnti delle famiglie. È quanto emerge da una ricerca della Federazione autonoma bancari italiani (Fabi), maggior sindacato del settore.

Dopo quattro anni di costanti aumenti, nel 2022 il saldo totale dei conti correnti delle famiglie è diminuito di quasi 20 miliardi di euro. Da agosto a novembre si è registrato, infatti, un calo di 18 miliardi da 1.177 miliardi a 1.159 miliardi, con una riduzione dell’1,5%. Già a giugno, rispetto a maggio, c’era stata una prima diminuzione di 10 miliardi.

In più si registra un incremento dei prestiti per il consumo e una tenuta dei finanziamenti personali. Nel complesso l’ammontare dei prestiti per entrambe le categorie a fine 2022 si è attestato a 256 miliardi di euro, in crescita rispetto a gennaio dello stesso anno (+1,5 %) e superando la tendenza al costante aumento dal 2017, pari all’1,2%. I numeri di crescita del mondo dei prestiti finalizzati e non finalizzati arrivano come uno «schiaffo rispetto a quelle che sono le condizioni di mercato, perché non sono certamente i bassi tassi di interesse a spingere le richieste, ma piuttosto la crescente propensione a rateizzare gli acquisti, che rende contraddittorio il rapporto che gli italiani hanno con economia e risparmio», evidenzia l’analisi.

Nei soli 11 mesi del 2022 la richiesta di prestiti al consumo non si è ridimensionata ed è aumentata di ben 5 miliardi di euro, con un tasso di crescita prossimo al 5% e ben superiore anche all’incremento medio dei mutui per l’acquisto di casa (3,8%). Il flusso dei finanziamenti finalizzati ha superato la cifra dei 116 miliardi di euro a fine novembre e per quanto vi siano già state più di due manovre sui tassi della banca centrale europea, l’effetto della crescita dell’inflazione incide, evidentemente, in misura maggiore sulla capacità di spesa dei cittadini. Se la tendenza alla crescita dei prestiti personali e del credito al consumo dovesse proseguire, la «sostenibilità finanziaria delle famiglie italiane potrebbe essere messa a rischio dal peso ancora più influente di rincari e dei tassi crescenti, con conseguenze sociali che corrono il rischio di diventare preoccupanti per quelle famiglie il cui ricorso al credito è già lo strumento per far fronte alle spese di istruzione, spesa, viaggi, sport, famiglia e bollette», spiega la Fabi.

Per il segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni «servono, da parte del governo, politiche fiscali, volte ad aumentare il reddito disponibile, più incisive. Ma sono indispensabili, soprattutto, i rinnovi di tutti i contratti collettivi di lavoro scaduti, con importanti aumenti delle retribuzioni. Ricordo che oltre 6 milioni di lavoratori attendono il rinnovo, in alcuni casi da più di cinque anni. A breve avvieremo il negoziato per il contratto dei bancari, stiamo per completare la piattaforma sindacale».

Il quadro della Fabi viene smentito dal Centro studi Confindustria (Csc). Rimasto famoso e poco affidabile da quando fece previsioni da cavallette e piaghe bibliche in caso di No al referendum costituzionale renziano («4 punti di Pil in meno», poi puntualmente non avverate), il Csc di Confindustria stavolta parla invece di «tenuta del potere d’acquisto totale delle famiglie». Insieme al «prezzo del gas ai livelli più bassi da oltre un anno», porta il Csc di Confindustria a sostenere che «l’attività economica è su livelli migliori di quanto ci si attendesse, come confermato da fiducia e indici di Borsa in recupero. Come al solito neanche una citazione per i salari: quelli per gli industriali non esistono.