Il carnevale ancestrale, furore per la fine dell’inverno
A teatro «Karrasekare» di Igor x Moreno è un affondo nelle origini, sarde e basche, dei due coreografi
A teatro «Karrasekare» di Igor x Moreno è un affondo nelle origini, sarde e basche, dei due coreografi
Per terra un grande lenzuolo accartocciato, coperto da una luce grigiastra. A sinistra, immobile, c’è Igor Urzelai, gonna lunga, intona un canto basco che si intreccia lentamente ad altre voci. Un rivolo di sangue scivola dalla fronte sul viso. Il cappuccio di schiena rivela una maschera bianca. È l’inizio di Karrasekare di Igor x Moreno, sigla che rimanda al duo di coreografi e danzatori composto dal già citato Urzelai, basco, e da Moreno Solinas (sardo), formazione comune vissuta da ragazzi al The Place di Londra, lasciato per tornare nella terra di Solinas, a Sassari, nello spazio di formazione e produzione S’ala.
Visto in prima assoluta al Teatro Vascello di Roma per il Festival RomaEuropa, Karrasekare vanta una coproduzione internazionale che nel maggio 2024 avrà tra le tappe The Place di Londra e il Théâtre de la Ville di Parigi. Domani sera è all’Eliseo di Nuoro nella bella stagione di danza di Fuori Margine, il centro di produzione di danza e arti performative della Sardegna. Solitamente Igor e Moreno danzano soli, danzano e cantano, perché la voce da sempre, insieme a un amore per l’azione in scena, fa parte della loro storia. In Karrasekare però, per la prima volta, firmano un pezzo che vede coinvolti anche altri cinque danzatori. Il tema? Un affondo nelle radici e nelle origini dei due autori, un viaggio ispirato ai carnevali baschi e sardi, come quello di Bosa in provincia di Oristano, in cui tutto il paese piange un bambolotto, o come quello di Gavoi, in provincia di Nuoro, dove è tutto un risuonare di triangoli e tamburi. Il ritmo e la ripetizione, che si fa orgiastica e ossessiva, rituale e intrecciata alla trance, dominano in crescendo lo spettacolo, che parte lentamente, con pianti ripetuti che sono morte e simbolo dell’inverno che finisce. Quasi una sorta di lungo prologo verso lo scoppio dell’ancestrale e contemporaneo furore dei sette: eccoli, sulla destra in fondo alla scena, fissare il pubblico, uno addosso all’altro. Introiettano d’improvviso nella voce, nel corpo e nei piedi che battono il pavimento la scossa tellurica che li violenta dal basso.
A Romaeuropa sette danzatori, un ritmo ossessivo, canto che si fa trance.
È UN QUADRO potente. I volti, le braccia, i corpi sono segnati di rosso, Moreno, al centro, trascina il sentimento del gruppo attraverso un canto originale sardo, gli altri lo accompagnano in un abbraccio sonoro carnale sulla musica originale di Edoardo Robert Elliot, drammaturgia di Simon Ellis. Una partitura con una voracità di elementi piena di sorpresa, guidata da un sound design modulato dal vivo, spazializzato tra gli interpreti. D’impatto quel tenersi larghi in un cerchio che via via si stringe, con i danzatori che strascicando i piedi chiudono il lenzuolo sul pavimento, rendendolo informe e spaventosa massa bianca. Da sotto compaiono maschere e oggetti, travestimenti bizzarri (scene e costumi di Kaspersophie) da cui emerge un timbro animale e primigenio. A esprimerlo rischiose rotazioni sul posto con lunghi bastoni, folli corse concentriche, urla e corpi denudati a pezzi.
IL TUTTO FINISCE con il lenzuolo impacchettato e sollevato in aria come una nuvola nera mandata a sparire. Esprime tutto ciò che vorremmo non gravasse più sulla terra? Gli orrori da annientare e allontanare per una nuova primavera? Applausi al cast tutto, con Igor e Moreno a Margherita Elliot, Marcella Mancini, Alessio Rundeddu, Matteo Sedda e Giulia Vacca.
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