Le case giapponesi hanno una loro condotta, un contegno. Non sono fredde né inerti giocattoloni: spesso «rubano» attitudini e pensieri dei loro proprietari. E, siccome nessun inquilino è immortale, rispondono a tutto ciò che gira intorno al concetto di mujo, ossia la poetica dell’effimero e dell’impermanenza, quella stessa che fa amare la fioritura dei ciliegi collettivamente e poi liberare tutti insieme la malinconia per quell’attimo fuggente e l’inevitabile appassire che richiama a sé. Le case, dunque, coltivano la loro bellezza, vengono disegnate da architetti per privati, custodiscono le abitudini di famiglia – sono introspettive o estroflesse rispecchiando le caratteristiche sociali...