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Il cantante scomparso Zelimkhan Bakaev «torturato e ucciso» a Grozny

Il cantante scomparso Zelimkhan Bakaev «torturato e ucciso» a Grozny

Repressione La popstar sarebbe tra le vittime della purga antiomosessuale in corso in Cecenia

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 24 ottobre 2017

È dallo scorso agosto che della popstar cecena Zelimkhan Bakaev non si hanno più notizie. Il cantante, che viveva e lavorava a Mosca, era tornato l’otto agosto a Grozny per il matrimonio della sorella, e dieci giorni dopo un rappresentante della famiglia ha reso noto che il ragazzo era scomparso, mentre due suoi amici – sotto richiesta di restare anonimi – hanno dichiarato a una televisione russa che Bakaev era stato arrestato da uomini in uniforme nel centro di Grozny.

Una versione confermata pochi giorni fa da Igor Kocketkovof, attivista del Network Lgbt russo: «Alla fine di agosto, abbiamo ricevuto la conferma dei nostri sospetti che Zelimkhan Bakaev fosse stato arrestato dalle autorità cecene in quanto ritenuto omosessuale».
Sabato scorso, un’altra fonte anonima ha invece rivelato che il cantante sarebbe stato sequestrato dalle autorità a poche ore dal suo ritorno in Cecenia , per poi venire torturato e ucciso nel giorno stesso della sua scomparsa, ulteriore vittima della purga antiomosessuale in corso nel paese e denunciata da decine di attivisti e sopravvissuti.
Le autorità cecene hanno smentito ogni coinvolgimento, ed è stato suggerito che il ragazzo abbia semplicemente lasciato il paese, come proverebbe un Whatsapp mandato alla madre appena dopo la scomparsa – da un numero poi subito disattivato, così come il suo account Instagram – e un video su YouTube di un ragazzo che, dicono gli amici, si finge lui e dice di essersi trasferito in Germania.

Lo scorso aprile, lo stesso primo ministro ceceno Ramzan Kadyrov aveva negato che fosse in corso una persecuzione degli omosessuali nel paese: «In Cecenia non ci sono gay, e se persone del genere esistessero le forze di polizia non dovrebbero fare niente, perché ci penserebbero le loro famiglie a mandarli in un posto da cui non c’è possibilità di tornare»,

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