Visioni

Il campo rom filmato ad altezza di bambino

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Festival Spartacus e Cassandra, l'opera prima di Ioanis Nuguet, è stata la rivelazione degli Stati generali del documentario di Lussas, la rassegna francese che ogni anno prova a fare il punto sul cinema del reale

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 23 agosto 2014

«A quattro anni mendicavo per le strade. A cinque andavo a scuola. A sette lasciavamo la Romania per venire in Francia. A otto, rubavo autoradio. A dieci scappavo dal centro per minori…». Spartacus e Cassandra, opera prima di Ioanis Nuguet, apre con Spartacus che scandisce con voce sicura le tappe di una vita fin troppo densa. A noi sembra di conoscerla già, di sapere come andrà a finire. Invece fin dalle prime immagini, il film ci scaraventa in un mondo ad altezza di ragazzo, con i pupazzi appesi a un filo della biancheria, visti da sotto in su, il cielo come sfondo e come unico limite, mentre si muovono nell’aria come se levitassero liberamente. Poi il filo diventa una corda, un paio di piedi avanzano cautamente, Cassandra sorride e allarga le braccia per tenersi in equilibrio, e il sorriso è quello del fratello Spartacus, le loro ombre capovolte in modo da sembrare dritte, mentre si allungano ad afferrare un palloncino.
Il mondo del film è quello che vedono e che possono comprendere loro: fratello e sorella esistono attraverso sguardi reciproci e giochi improbabili, tra i vestiti trovati nei sacchi della spazzatura, le carcasse annerite di motorini sapientemente rimessi in funzione, in bilico tra la gioia di vivere e gli strattoni di un «mondo reale» fatto di giudici, espulsioni e povertà. È il campo rom di Saint-Denis, alla periferia di Parigi, ma al centro di quel mondo c’è il tendone da circo montato da Camille, una giovane trapezista che inventa per i ragazzi un’alternativa alla vita di strada.
Il film di Nuguet inizia con inquadrature serrate, quasi claustrofobiche, che ben restituiscono il dramma in cui sono rimasti intrappolati Spartacus e Cassandra, ovvero la sottrazione alla custodia di un padre alcolizzato, l’allontanamento da una madre con problemi mentali e lo spettro dell’affidamento a una famiglia di sconosciuti.
Sullo sfondo rimane tutto quello che Spartacus e Cassandra non capiscono ancora completamente: le incursioni della polizia, le riunioni della comunità rom, la violenza, il razzismo. Ad accoglierli nell’immediato è il tendone di Camille, una sorta di lanterna magica dove Spartacus e Cassandra trovano rifugio e dove, giorno dopo giorno, il loro immaginario prende corpo e i loro desideri una voce. Nuguet li segue con grande destrezza e poesia: attraverso i boschi dove la madre coglie i mughetti che poi venderà per le strade, sospeso ad una corda tra i rami di un albero che serve da trampolino a Spartacus per tuffarsi nel fiume sottostante.
Spartacus e Cassandra è un film impressionista, procede per sensazioni, associazioni di prospettive funamboliche e inquadrature oniriche, riflessi di luce, alla ricerca di un’infanzia perduta e ritrovata. Il compito di Spartacus e Cassandra non sarà facile. Il padre esige che condividano con lui miseria e disperazione, le notti sul marciapiede, le botte di sconosciuti, il carcere, la fuga, tutto poiché sono carne della sua carne. La madre implora la loro presenza e il loro conforto. Senza parlare di una società profondamente ostile e piena di pregiudizi. Ma chi é più violento? Un padre-padrone dai toni ancestrali oppure una società cartesiana tanto convinta della propria superiorità materiale e intellettuale da non vedere più le proprie zone d’ombra? Il dilemma, attraversa il film come una lama lucente.
Sono le parole di Spartacus, in un pezzo di rap scritto da lui, a trovare la risposta più forte: «Da piccolo pensavo che le nostre fossero le più belle case di tutta la Romania, legno dappertutto e tetti di specchio. Poi mi hanno detto che sarebbe stato meglio se non fossi mai nato, che avrei dovuto tendere la mano per mangiare, spaccare vetri per rubare, farmi beccare dalla polizia per essere giudicato, messo in un centro per essere educato».
E sempre le sue parole a chiudere il film: «Un giorno sentirete le nostre voci, voci che nessuno potrà far tacere, poliziotti e ministri non vi faranno più paura, li guarderete in faccia, con i pugni chiusi, allora sarà giunta l’ora».

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Incontriamo l’autore del film, Ionais Nuguet, a Lussas in occasione degli Etats generaux del cinema documentario che ogni anno, in agosto (17-24) provano a tracciare una geografia dello stato del cinema del reale contemporaneo (www.lussasdoc.org).

Come ti sei ritrovato a fare questo film? È stato difficile ottenere il permesso per filmare?

Ho vissuto per diversi mesi nel campo nomadi di Saint-Denis, alla periferia di Parigi. Sarkozy aveva appena pronunciato il discorso in cui annunciava lo smantellamento di più della metà dei campi rom francesi e io volevo conoscere da vicino questa realtà, incontrare le famiglie, raccontare le loro storie. Avevo in mente di farne un film ma non sapevo bene come. Nel frattempo filmavo battesimi e matrimoni. È stata la mia scuola di cinema. Poi un giorno ho incontrato Spartacus. Mi è venuto incontro dicendomi che dovevo assolutamente fare un film su di lui e sua sorella Cassandra. Io avevo imparato la lingua rom e questo aveva contribuito a farmi accettare dalla comunità che era abituata a vedermi filmare in ogni situazione e anzi mi chiedeva di documentare la loro condizione. Filmare gli incontri con il giudice per l’affido e le scuole frequentate da Spartacus e Cassandra è stato più difficile ma alla fine ci siamo riusciti. Era importante poterli seguire nei momenti importanti della loro vita.

Il film ha un’estetica molto particolare. Cosa cercavi e come hai realizzato la tua idea?

Volevo evocare il mondo di Spartacus e Cassandra con immagini che spaziano da eventi reali a momenti del passato, così come uno se li ricorda, sfocati dalla distanza o plasmati dal sentire dei due protagonisti. Per tradurre queste condensazioni della temporalità ho utilizzato varie telecamere (super8, HD, mini dv), che mi permettevano di ottenere consistenze di pixel diverse a seconda della situazione che stavo filmando. Tutta questa materia vive grazie ad un lavoro molto attento sul suono e in particolare alla traduzione in materia sonora dell’atmosfera generale del film, che è quella di un racconto iniziatico attraverso il quale Cassandra e Spartacus arrivano ad una migliore comprensione di sé e del mondo.

Nel film hai utilizzato le voci fuori campo di Spartacus e Cassandra e momenti di rap. Chi ha scritto questi testi e come sono entrati a far parte del film?

Le riprese del film sono durate un anno e mezzo. Ero quasi sempre presente nel campo nomade ma limitavo le riprese ai momenti in cui avevo la sensazione di poter girare le immagini che mi occorrevano per raccontare la storia del film. Mi lasciavo guidare dalle situazioni, da un sogno che Cassandra mi veniva a raccontare e che veniva poi integrato nel film. Alla fine di ogni giornata di riprese chiedevo a Spartacus e a Cassandra di raccontarmi come avevano vissuto le situazioni, cosa avevo pensato. Registravo le loro voci. La vera scrittura del film è avvenuta nella fase di montaggio e quelle voci fuori campo sono andate a punteggiare il film e a scandire l’evoluzione dei personaggi. La parte finale è un pezzo di rap scritto interamente da Spartacus.

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