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Il “camera van” di Ursula Ferrara

Il “camera van” di Ursula Ferrara"Quasi niente" – Ursula Ferrara

Animazione L'artista riceve il premio alla carriera alla festa di diploma del Centro Sperimentale di Cinematografia di Torino

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 15 giugno 2019

Fra arte e casa, sfera intima e pubblico apprezzamento, Ursula Ferrara (Pisa, 1961) tiene in equilibrio gli aspetti opposti e complementari di una vita ad un tempo creativa e radicata. Pittrice, fotografa, grafica, sceneggiatrice, regista è sicuramente una delle maggiori autrici di animazione europee. Nota soprattutto presso i festival del settore più prestigiosi di tutto il mondo, da Annecy a Zagabria, da Tampere a Espinho, senza tralasciare Cannes, Toronto, Berlino, Edimburgo,Torino, i suoi film vi hanno ricevuto riconoscimenti, a cui si aggiungono tra gli altri il Silver Award dell’Art Director’s Club di New York, nonché due Nastro D’Argento dei giornalisti cinematografici italiani.

Eppure la sua filmografia di cortometraggi non è lunga dal suo primo lavoro Lucidi folli (1986), proseguendo con Congiuntivo futuro (1988), Amore asimmetrico (1990) e Come persone (1995), opere che costituiscono una prima fase tutta di disegni animati in bianco e nero. Il grande innamoramento internazionale sboccia poi con le sue opere a colori, Quasi niente (1997), seguito da Cinque stanze (1999) e La partita (2002). Quello che affascina della sua arte animata è il caldo flusso dei suoi colori, realizzata con tecniche particolarmente impegnative dai risultati unici. Da allora ha realizzato sigle ed intermezzi per programmi tv e documentari, sempre con il suo stile originale e, anche quando si cimenta con la tecnologia digitale (pittura su Ipad) come per il film documentario di Paolo Petrucci La passione di Laura (2011), l’artista mantiene il suo approccio «artigianale».

Così se per i suoi quadri in movimento preferisce la lavorazione più lenta e laboriosa del pennello, passando più di recente alla fotografia opta decisamente per la tecnica analogica dell’inizio secolo scorso con obiettivi e lastre dell’epoca. Il premio alla carriera di animatrice conferitale a Torino ci offre nuova occasione per una chiacchierata. Scherzando dice «il passato mi perseguita».
In un periodo forse critico per l’animazione italiana d’autore sei stata fra le poche, assieme a Gianluigi Toccafondo, Roberto Catani, Simone Massi, ad affermare una poetica visiva originale sulla scena internazionale. Perché hai attenuato quel tipo di lavoro?
Perché è faticoso.
In che modo procedevi nei tuoi dipinti animati?
Partivo da uno schizzo tracciato sull’acetato con una matita da trucco nera per in prima istanza verificare il movimento dell’azione, dipingendo in un secondo momento con i colori a olio o i pastelli Sennelier.
E dal punto di vista espressivo ed emozionale?
È come se avessi tracciato un diario visivo, specialmente nei primi film, riversando quello che attraversavo nella vita dentro di essi.
Dalla sessualità alla maternità, passando profeticamente anche per il calcio in La partita, si coglie lo specifico femminile del tuo lavoro. Come incide per te?
Non ho mai fatto un ragionamento di genere nel mio lavoro, ho considerato sempre gli umani persone.
Con quale mezzo artistico senti di esprimerti meglio ora e perché?
Ho ripreso da un po’ di anni il mio primo amore, la fotografia analogica, portando avanti una ricerca sulle antiche tecniche fotografiche, il wetplate (collodio umido), il grande formato e l’ultra grande formato fino alla mia ultima sperimentazione: un furgone trasformato in una macchina fotografica gigante che fa funzione anche di camera oscura. In fondo i cartoni animati non sono che la successione di un fotogramma dopo l’altro.
Hai illustrato anche la copertina di «Princesa e altre regine» di Concita De Gregorio dedicato alle canzoni di De André. Cosa altro hai fatto in seguito?
Ho lavorato a una videoinstallazione dal titolo «Vite sospese» in memoria degli studenti e dei docenti ebrei espulsi dall’Università a causa delle leggi razziali, partendo dai ritratti fotografici del 1938 per elaborarli con la pittura.
Che progetti hai per il prossimo futuro?
Viaggiare con il mio camera van.
Una volta hai detto che gli artisti «hanno l’ego ipertrofico e l’autostima sotto i tacchi»? Ti senti così?
Sì. Almeno io.

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