Economia

Il caffè orizzontale

Il caffè orizzontaleI frutti della pianta del caffè, sotto il simbolo del Malatesta

Lecco Dalla materia prima ai rapporti interni all’azienda, un collettivo di studenti e giovani lavoratori precari, con la passione per Errico Malatesta, riorganizza la produzione

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 13 settembre 2017

Ogni lunedì mattina Jacopo prende dal magazzino i sacchi pieni di caffè verde, ne versa circa metà del contenuto in un serbatoio di latta fino a arrivare a un peso di circa 25 kg. Poi fa scivolare i chicchi di caffè grezzo nella tostatrice Trabattoni che, nonostante i trent’anni d’età, continua a fare il suo dovere. «Qui viene riscaldato fino a una temperatura intorno ai 215 gradi, assume gli aromi e perde la pellicina esterna» ci spiega Niccolò che nel progetto politico e produttivo del Caffè Malatesta ci ha creduto fin dall’inizio, a partire da quella tostatrice lasciata inutilizzata in un angolo del magazzino del gruppo Gas «La sporta» di Lecco.

«PRIMA DI AFFITTARE lo spazio al Gas dentro il capannone di Garlate (comune confinante con Lecco, ndr) abbiamo trovato la tostatrice e altri macchinari per la produzione di caffè lasciati lì dal precedente proprietario», ci dice Nicolò. Lui, Jacopo e altri quattro ragazzi e ragazze nel 2010 hanno avuto l’idea di rimetterla in funzione per iniziare a auto-produrre caffè. Per l’autoconsumo interno dei membri del gruppo, almeno inizialmente. «Siamo nati come un collettivo di ragazzi e ragazze giovani, tutti studenti o lavoratori precari variamente impegnati nelle esperienze politiche del territorio», raccontano Nicola e Jacopo. Quello che interessava ai ragazzi alla nascita del collettivo e che tuttora li guida nelle scelte del Caffè Malatesta, era sviluppare un’attività per andare oltre i meccanismi e le logiche di mercato nei rapporti e nell’organizzazione di lavoro. Insomma, un’ambizione cooperativa, autogestionale e egualitaria che ha trovato un punto di riferimento nelle parole e nella figura del pensatore anarchico, Errico Malatesta, che aveva intitolato uno dei suoi libri Al caffè.

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I SOGNI E GLI OBBIETTIVI sono stati chiari fin dall’inizio e sono ben riassunti nei cinque punti fondamentali alla base dell’attività: creare un reddito da lavoro manuale e intellettuale, lavorare caffè prodotto in condizioni lavorative e sociali dignitose, scegliere materie prime prodotte nel rispetto dell’ambiente e del territorio, condividere le scelte e rifiutare il verticismo, confrontarsi con le realtà che promuovono e praticano solidarietà, mutualismo e autogestione. «Gli inizi non sono stati facili ma l’aiuto di vari soggetti ci ha dato una mano a partire: il Gruppo di Acquisto ci ha lasciato utilizzare una parte del magazzino per mettere le nostre scrivanie e i macchinari, il proprietario della macchina non ci ha fatto pagare l’utilizzo della tostatrice e altre realtà solidali hanno anticipato la somma per l’acquisto di una serie di partite di caffè» spiega Niccolò non nascondendo le difficoltà che fin dall’inizio il Caffè Malatesta ha incontrato non solo nella gestione dell’attività economica ma anche nella mediazione dei rapporti interni al collettivo. Centrale nella loro esperienza è stata l’ambizione di voler gestire collettivamente un’impresa senza «l’efficienza del rapporto verticale e autoritario padrone-lavoratore ma attraverso relazioni cooperative e gestione dei conflitti in modo creativo e collegiale con prassi e procedure condivise».

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A QUASI SETTE ANNI dall’inizio, l’esperienza del Caffè Malatesta va avanti attraverso due livelli gestionali: l’attività produttiva e contabile di tutti i giorni viene portata avanti da Nicolò e Jacopo con l’aiuto di Matteo mentre le decisioni politiche e le strategie di lungo periodo sono prese dal Collettivo Malatesta che sorveglia sul rispetto dei principi fondatori, anche nella scelta dei fornitori e dei partner nel settore della torrefazione. «Nel magazzino abbiamo due varietà di caffè, l’arabica, più leggera e ricca di aroma, e la robusta che invece, contiene quasi il triplo di caffeina» illustra Niccolò mentre Jacopo continua a fare avanti e indietro dalla sala per la tostatura.

SONO DIVERSE le provenienze del caffè verde che si trova nel magazzino del Caffè Malatesta di Garlate: i chicchi arrivano dall’Uganda attraverso la cooperativa di commercio equo solidale Shadhilly di Fano, vengono importati direttamente dal Guatemala e dalla Colombia mentre dall’Honduras e dal Chiapas fa da tramite il Cafè Libertad Kollektiv di Amburgo. «Insieme a una decina di realtà autogestite europee infatti, abbiamo deciso di far parte della rete Roasters United che garantisce il rispetto di una serie di requisiti nella scelta dei produttori di caffè: al posto della monocultura e di coltivazioni intensive preferiamo coltivazioni di caffè in ombra e condizioni di lavoro umane e giuste» prosegue Jacopo che ad agosto è volato in Sud America per incontrare il fornitore colombiano e visitare la comunità. Dopo la tostatura, l’ultimo passaggio del Caffè Malatesta è l’eventuale macinazione e il confezionamento di cui si occupa Niccolò. Immerso nell’odore forte e pregnante sprigionato dal processo di lavorazione del caffè, ripete l’obbiettivo di costruire relazioni dirette e orizzontali con fornitori ma anche con gli acquirenti a cui il caffè Malatesta viene venduto a un prezzo contenuto e in linea con quello delle marche più prestigiose al supermercato e con quello del mercato equo-solidale.

«IL NOSTRO OBBIETTIVO è quello di creare scambi orizzontali ed egualitari con produttori e acquirenti, facendo venire meno anche la funzione dei certificati bio o fair trade che non appaiono infatti, sui nostri prodotti» spiega Nicolò. Di fronte alla domanda sul rischio di rimanere nella logica del «piccolo è bello» ha deciso di rispondere così: «Sicuramente questa possibilità esiste anche se in questi anni abbiamo visto che quel piccolo sta diventando sempre più grande».

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