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Il business che non conosce crisi: nel 2019 venduti 361 miliardi di dollari in armi

Il business che non conosce crisi: nel 2019 venduti 361 miliardi di dollari in armiElicotteri statunitensi in dotazione alla Nato tra Grecia e Turchia – Ap

Guerre Il nuovo rapporto Sipri: +8,6% di vendite globali rispetto al 2018. Le società americane e cinesi mangiano il 77% della torta. Tra le prime 12 c’è anche l’italiana Leonardo, che beneficia del boom di autorizzazione rilasciate dal governo negli ultimi cinque anni

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 8 dicembre 2020

Non c’è crisi che tenga: la vendita di armi è un business che non va mai in recessione. Nel 2019, anno che ha preceduto la pandemia, il settore è cresciuto ancora.

A certificarlo è lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri): lo scorso anno le prime 25 aziende produttrici di armi hanno registrato vendite totali pari a 361 miliardi di dollari, un +8,5% rispetto al 2018, quando il valore era già cresciuto rispetto all’anno precedente del +4,6% (420 miliardi in valore assoluto).

A DOMINARE IL SETTORE sono i soliti noti: 12 compagnie statunitensi (con in testa Lockeed Martin, Boeing, Northrop Grumman, Raytheon e General Dynamics) si mangiano il 61% del mercato totale.

A ruota seguono le new entry: quattro società cinesi, Avic, Cetc, Norinco e Csgc. Mai entrate in classifica prima, con una fetta del 16% della torta e tre posti nella top ten. Come mai in classifica prima era entrata una compagnia mediorientale: il primato va all’emiratina Edge, nata dalla fusione di 25 piccole aziende nazionali.

Nel caso degli Emirati, acquirenti di armi in giro per il mondo, il piccolo boom è spiegabile con le tante crisi aperte e accese negli ultimi anni nella regione, dallo Yemen alla Libia, una spinta alla produzione nazionale (stesso dicasi per la Turchia, che da super acquirente oggi lavora per l’autonomia produttiva).

In quello cinese, spiega la ricercatrice del Sipri, Nan Tian, il beneficio alle aziende nazionali arriva «dai programmi di modernizzazione militare dell’esercito cinese». La Cina vende elicotteri, missili, navi da guerra, per lo più a Pakistan, Bangladesh e Taiwan, e ci riesce – dice al South China Morning Post l’analista Zhou Chenming – grazie a prezzi contenuti e buona qualità, un binomio ottimale per i paesi emergenti.

TRA I BIG C’È ANCHE L’ITALIA: al 12° posto per vendite di armamenti in giro per il mondo si piazza Leonardo, una crescita annuale del 18% con 11,1 miliardi di dollari di ricavi (dai 9,8 del 2018), abbastanza per superare il colosso franco-tedesco Airbus. Prima azienda di un paese Ue in classifica, seconda solo ai giganti statunitensi, alle new entry cinesi e alla britannica Bae System.

Non stupisce troppo che la società, partecipata dal ministero dell’Economia e della finanze, suo primo azionista con il 30%, specializzata in elicotteri, aerostrutture, sistemi per la sicurezza sia così ben piazzata: lo scorso luglio Rete Disarmo spiegava il boom vissuto dal settore militare nel nostro paese proprio nei 30 anni successivi alla legge 185 del 1990, quella che vieta la vendita a paesi in guerra o violatori dei diritti umani.

In tre decenni sono state autorizzate esportazioni per 97,75 miliardi di euro, con un picco negli ultimi cinque anni: 44 miliardi in autorizzazioni, pari a quelle dei 15 anni precedenti.

CHI IMPORTA? I dati Sipri del marzo scorso davano in testa alla classifica la regione che vive dentro un conflitto permanente da ben prima la caduta del muro di Berlino: con il 35% di acquisti mondiali il Medio Oriente compra più di tutti e lo fa con un’ingordigia inestinguibile, +61% dal 2015.

In testa alla classifica globale c’è l’Arabia saudita che ha strappato il primato all’India. Nonostante stia massacrando lo Yemen da cinque interminabili anni. E poi Egitto, Australia, Cina.

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