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Carlo Petrini: il buon cibo salverà il pianeta

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Intervista Da oggi fino a lunedì prossimo Torino ospita il Salone del Gusto e Terra Madre, la manifestazione internazionale più complessa e completa che esiste in tema di cibo nella sua eccezione più ampia possibile. Per Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, questo sistema alimentare ormai non funziona più: "La produzione sostenibile è una questione di giustizia sociale". E l'Expo lo convince sempre di meno: "Per noi è una occasione importante ma purtroppo è stato perso troppo tempo e temo che ancora non sia stata messa a fuoco la tematica più importante"

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 23 ottobre 2014

Fino a lunedì Torino ospita il Salone del Gusto e Terra Madre. I numeri sono impressionanti: i produttori che nutrono il mondo si ritrovano nel mercato più grande, 80mila metri quadrati, davanti alla platea più numerosa, 200 mila visitatori. Ma i numeri non dicono tutto. «E’ la manifestazione internazionale più complessa e completa che esiste sul tema del cibo di qualità e sostenibile», dice Carlo Petrini, l’inventore di Slow Food.

Il Salone del Gusto compie diciotto anni. Adesso che entra nell’età adulta quali nodi deve affrontare per stare al passo con tempi che si annunciano piuttosto grami?

Ricordo con soddisfazione il primo salone di diciotto anni fa. Allora fummo accusati di avere un approccio nostalgico e una visione troppo poetica dell’agricoltura, dicevano che il futuro si sarebbe rivolto verso la produzione su scala industriale. Diciamo che gli uccelli del malaugurio non sono riusciti nel loro intento, oggi il discorso pubblico e la sensibilità dei consumatori si orienta verso le eccellenze alimentari e la buona gastronomia. Ma l’obiettivo più importante non è stato ancora raggiunto. Contadini, piccoli artigiani, piccoli produttori e pescatori non hanno ancora ottenuto giustizia. Non riescono a strappare prezzi giusti, non riescono a farsi ascoltare dalla politica e non possono incidere a livello normativo perché non sono strutturati come le multinazionali dell’alimentazione che influenzano le decisioni a livello europeo. Avere più attenzione per la produzione sostenibile è semplicemente una questione di giustizia sociale. Inoltre, forse perché obnubilati da certa retorica sul «made in Italy», ancora non riusciamo a dare dignità agli stranieri che lavorano nei nostri territori. Penso ai macedoni nella zona del Barolo, agli indiani della bassa Lombardia, ai maghrebini sugli alpeggi, per non parlare degli africani ridotti in semi schiavitù che raccolgono pomodori nel sud. Migliaia di persone, nuovi contadini.

Terra Madre, la rete mondiale di contadini, pescatori e piccoli produttori, invece festeggia i dieci anni puntando sul tema dell’agricoltura familiare. Cosa significa?

La centralità del tema è stata sancita dall’Onu e dalla Fao. Una decisione importante perché sottolinea che l’agricoltura di piccola scala è il pilastro fondamentale del sistema agricolo mondiale. Almeno a parole, perché nei fatti l’agricoltura familiare, come dicevo prima, non riesce a riscuotere grande attenzione. Terra Madre, nel suo piccolo, rappresenta questo popolo di piccoli produttori del mondo che tutela il paesaggio, salvaguarda la biodiversità e rispetta l’ambiente.

Ragioniamo più in grande: Expo, nutrire il pianeta. Ormai manca poco, sei ancora perplesso? E quale ruolo pensi di ricoprire?

Il tema è decisivo e spero ancora che l’esposizione universale possa essere una grande occasione per l’Italia. Ma sono convinto che si sia perso troppo tempo, mancano pochi mesi, eppure la vera tematica non è stata ancora intercettata: questo sistema alimentare va cambiato. La vergogna è la fame nel mondo, invece vedo con dispiacere che il sistema Expo si concentra esclusivamente sull’obiettivo di garantire la funzionalità dell’evento. Non è questo il punto. Come Slow Food non potevamo non esserci, per noi è una opportunità. Ci concentreremo sul valore della biodiversità.

Non avevi in mente una iniziativa con Ermanno Olmi e don Ciotti?

Sì, una presa di posizione netta, condensata in un documento, per chiedere che l’evento rimanga collegato alla vera tematica. Forse lo presenteremo al Salone del Gusto.

Mentre ci si limita a denunciare il sistema di corruzione che minaccia l’Expo, la lobby pro Ogm sta invadendo i mass media con una colossale campagna di disinformazione. Non ti sembra un po’ sotto tono la reazione degli ecologisti?

La ricomposizione del fronte pro Ogm è in sintonia con il negoziato Ttip che è in corso tra Europa e Stati uniti. Si stanno discutendo nelle segrete stanze le nuove regole della più grande area di libero scambio del mondo senza coinvolgere la società civile. Non c’è dubbio che in questa fase siamo di fronte alla più potente controffensiva delle multinazionali del biotech, ma credo che non riusciranno a recuperare un consenso che non hanno mai avuto. L’avversione agli Ogm in campo agricolo è fortissima tra le associazioni, tra l’opinione pubblica e tra i contadini, e la consapevolezza che le tecnologie in campo agricolo e in campo farmaceutico appartengono a due mondi diversi ormai è un dato acquisito. Nel breve o medio periodo credo che subentreranno nuove tecnologie che renderanno obsoleto questo dibattito, ma il punto centrale è un altro: la proprietà delle sementi. Il seme è un tratto distintivo della vita e oggi più del 70% delle sementi è in mano a società multinazionali, ecco il problema. Dobbiamo valorizzare l’economia delle moltitudini che lavorano i campi, non lasciare campo libero a quella concentrata in poche mani.

Dal 2008 sono più che raddoppiati gli italiani impoveriti che non riescono a garantirsi una dieta equilibrata. Una contraddizione pesante mentre il discorso pubblico è dominato da un’orgia di cibo e parole sul cibo di qualità.

Darei una doppia lettura di questo dato, diciamo più ottimista. Forse gli italiani consumano meno anche per sprecare meno e per mangiare meglio. Non c’è malnutrizione nel nostro paese, e se c’è è per un eccesso di consumo e per un consumo disattento e diseducato, infatti aumentano il diabete e le malattie cardiovascolari. Una moderazione dei consumi potrebbe anche essere il segnale di saggezza non solo di povertà, non voglio vedere un aumento del consumo di cibo se poi continuiamo a mangiare male. In Italia non si muore di fame.

A proposito. Un terzo del cibo prodotto nel mondo viene sprecato per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate che potrebbero sfamare la popolazione che soffre la fame.

Questa è la vera vergogna di un sistema alimentare che non funziona più. Non c’è mai stato tanto spreco nella storia dell’umanità, ecco perché non bisogna consumare di più. Siamo davanti a una crisi entropica, consumiamo troppa energia anche per produrre cibo che non riusciamo più nemmeno a smaltire, e le risorse del pianeta non sono infinite. Dobbiamo tentare di ridimensionare questa autentica follia.

Nel 2050 la domanda di prodotti agricoli aumenterà del 60% per la crescita demografica. Eppure la cementificazione e la diffusione dei biocarburanti rischiano di compromettere l’ecosistema del pianeta. Siamo in tempo a ridimensionare questa altra follia?

Assolutamente sì. Servono informazione ed educazione. A partire dalle scuole, ne sono convinto: lezioni di educazione alimentare. Stiamo per compiere danni che potrebbero essere irreparabili, la società contadina aveva rispetto per il cibo, oggi invece il cibo è solo merce. Noi non siamo nati per consumare ma per vivere bene. Prima che sia troppo tardi, anche nel nostro paese dobbiamo riuscire a promuovere politiche che tutelino i territori.

Invece gli ambientalisti sono sul piede di guerra contro il decreto Sblocca Italia del governo Renzi. Lo definiiscono una delle più brutali aggressioni al territorio degli ultimi trent’anni. Che ne pensi?

Pongo l’accento sul fatto, e lo dico al governo di Matteo Renzi, che una corretta politica dovrebbe difendere il suolo agricolo e non ridurlo. Invece, a parte i soliti annunci di buone intenzioni, mi sembra che si stia procedendo con il depauperamento dell’area fertile per fare spazio a infrastrutture e impianti energetici che ci riportano indietro nel tempo. Il governo dovrebbe fare il contrario, ridare spazio e rimettere al centro l’agricoltura locale. Il consumo di terreno potenzialmente agricolo è esiziale per l’Italia anche perché i contadini hanno sempre presidiato il territorio curando e prevenendo con il loro stesso lavoro quel dissesto idrogeologico che puntualmente è causa di morti e disastri nel nostro paese. Non stiamo parlando di carote e patate, ma di mancanza di rispetto per la nostra storia e per il nostro futuro.

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