Il buddha di Jimi Hendrix
Miti/Una statuetta appartenuta all’artista venduta per 25mila dollari L’oggetto, molto amato dal chitarrista nel suo ultimo periodo di vita, ha aperto una finestra sulla presunta fascinazione dell'artista per filosofie e religioni orientali
Miti/Una statuetta appartenuta all’artista venduta per 25mila dollari L’oggetto, molto amato dal chitarrista nel suo ultimo periodo di vita, ha aperto una finestra sulla presunta fascinazione dell'artista per filosofie e religioni orientali
Quest’anno si celebreranno i 50 anni del festival di Woodstock, risvegliando se possibile ancora di più l’interesse e il ricordo di quell’evento, nato quasi per caso e diventato un momento spartiacque nella storia della musica e della cultura giovanile. Gli anniversari portano con sé anche un curioso effetto collaterale, l’interesse dei collezionisti e il conseguente impennarsi dei prezzi delle memorabilia legate ai personaggi di quella stagione. Il pezzo più ambito è già passato da molte mani e attualmente non è sul mercato. Si tratta, ovviamente verrebbe da dire, della chitarra più celebre di Jimi Hendrix, la Fender Stratocaster bianca del 1968 con cui il grande chitarrista straziò le note dell’inno americano il 18 agosto 1969 al termine di un’esibizione leggendaria che doveva iniziare a mezzanotte, ma che andò in scena in una surreale mattinata. La chitarra fu suonata da Jimi nel corso di diversi concerti nel 1969, alternata con una Stratocaster nera e, occasionalmente, con alcune Gibson. Gli esegeti di Hendrix hanno notato che quello strumento storico venne però abbandonato dopo Woodstock e il chitarrista preferì un’altra Stratocaster bianca identificata nelle foto d’epoca da un riconoscibile graffio sul corpo. La chitarra era stata infatti regalata da Hendrix al batterista della «sua» Experience, Mitch Mitchell, che la tenne fino al 1990 quando la cedette a Sotheby’s per essere messa all’asta. L’acquirente fu il dj italiano Gabriele Ansaloni, in arte Red Ronnie, che la pagò quasi 200mila sterline. Un prezzo enorme, ma forse (non esistono cifre ufficiali ma solo voci) di dieci volte inferiore a quello a cui lo strumento fu rivenduto due anni dopo a Paul Allen, miliardario e fondatore con Bill Gates della Microsoft. Il magnate ci costruì intorno un museo, il Museum of Pop Culture da lui fondato nel 2000 a Seattle. Allen è morto nel 2018 e la chitarra è ancora oggi uno dei pezzi più pregiati tra i cimeli esposti.
LA COLONIA NUDISTA
Ma c’è anche un Hendrix non musicale che è entrato nei radar dei collezionisti. Il primo, vero guitar hero della storia fu proprietario di una preziosa statua bronzea di un buddha risalente alla dinastia cinese Ming. Un reperto raro, il cui curioso incontro con la rockstar ne ha amplificato l’alone misterioso e, inevitabilmente, il valore commerciale.
Hendrix ricevette in regalo l’antico manufatto attraverso una sua cara amica, Stella Benabou Douglas, ai tempi moglie del produttore discografico Alan Douglas che diventò custode delle ultime registrazioni di Jimi. Stella era proprietaria di una boutique al Greenwich Village di New York che Hendrix amava frequentare e che, su suggerimento dello stesso artista, venne battezzata «The Nudist Colony». Con Stella e con l’altra proprietaria del negozio, Collette Mimram, Jimi nel luglio del 1969 trascorse una vacanza in Marocco. Le due divennero per il rocker delle muse ispiratrici, le scelse come consulenti per il suo guardaroba e il suo stile e furono loro a scegliere il look che Jimi adottò a Woodstock. La storica giacca di pelle a frange e la bandana provenivano proprio da «The Nudist Colony» e divennero anch’esse simboli dell’epoca. Poco dopo il festival di Woodstock, su suggerimento di Stella, Alan Douglas acquistò in un negozio di New York il buddha per regalarlo a Hendrix per il suo ventisettesimo e purtroppo ultimo compleanno e per arredare il suo nuovo appartamento sulla West 12th Street. Jimi si era trasferito nell’appartamento traslocando dallo scantinato della casa del suo manager Michael Jeffery in cui l’unico arredo erano le sue chitarre. Per lui il buddha fu un regalo importante, segno forse di un’agognata vita più stanziale e benestante. Ricorderà Stella Douglas: «Non penso che avesse mai posseduto qualcosa di vecchio e prezioso come questo e ci si affezionò molto. Mi chiese come mai i buddha avessero tutti la pancia. Gli spiegai che devono contenere l’intero universo. La storia l’affascinò molto e la ripeteva spesso, soprattutto quando mostrava la statua». Stella vide Hendrix l’ultima volta a Londra poche ore prima della sua morte. Era la notte del 18 settembre 1970. Erano entrambi a una festa di un amico comune, Hendrix andò via accompagnato dalla sua fidanzata di allora Monika Dannemann verso le 3 del mattino. Morì la mattina successiva nel sonno.
NATURALE CURIOSITÀ
Stella e il marito tornarono a New York. Michael Jeffery iniziò a svuotare la casa in affitto di Jimi e invitò la coppia a prendere il buddha a cui Hendrix era così legato. Stella e il marito divorziarono e la preziosa statua rimase a Donna per più di 40 anni. Il cimelio è riemerso dal passato l’anno scorso quando una casa d’aste di Boston l’ha messo in vendita. Una perizia di un esperto d’arte orientale l’ha certificata come un autentico manufatto cinese del periodo Ming (1368-1644). È stata venduta per più di 25mila dollari.
Questa storia si collega a un’altra curiosità spesso rievocata ripercorrendo la vita breve e leggendaria del genio della chitarra di Seattle. La sua supposta fascinazione per le filosofie e religioni orientali. Come ha raccontato Stella Douglas, nonostante la sua naturale curiosità Hendrix non era un buddista: «Non era assolutamente coinvolto in maniera diretta in questioni politiche o religiose, al contrario di quanto in molti hanno sostenuto». Molti artisti alla fine degli anni Sessanta furono ammaliati dalle filosofie e dalla musica indiane. Echi di oriente più o meno marcati comparvero nelle musiche di Beatles, Byrds, Rolling Stones, Donovan solo per citarne alcuni. L’esotismo si confondeva con la psichedelica e Hendrix fu cooptato, suo malgrado, in questa moda. Ma fu frutto di un equivoco. Tutto accadde per colpa della copertina dell’album Axis: Bold as Love uscito nel dicembre del 1967. Il musicista infatti aveva detto che il disco era ispirato da uno stile americano e indiano. Jimi aveva nelle vene sangue cherokee e gli indiani che intendeva erano i nativi americani. Ma la casa discografica, nel culmine della frenesia per tutto ciò che sapeva di oriente, fraintese e commissionò ai grafici una copertina in cui Hendrix e i suoi Experience (Noel Redding e Mitch Mitchell) apparivano raffigurati al centro di una famosa rappresentazione induista di Vishnu, Krishna e del pantheon indù. Il musicista non aveva nessuna voce in capitolo sulle sue copertine, l’anno dopo le sue indicazioni per la cover dell’album Electric Ladyland vennero completamente disattese.
La copertina di Axis: Bold as Love, l’album del 1967 della Jimi Hendrix Experience
Tuttavia l’immagine di Axis: Bold as Love rimase una delle più popolari nell’iconografia hendrixiana. E anche questa è oggi preda dei collezionisti. Se un’edizione del disco firmata da tutta la band (con la dedica di Hendrix che scrisse «be groovy») è stata venduta qualche tempo fa a un’asta per quasi 5mila euro, un altro pezzo da museo è la copertina in versione 3D. Si tratta di un’edizione molto rara stampata dall’azienda americana Vari-Vue che aveva brevettato la cosiddetta grafica lenticolare che dava la sensazione della tridimensionalità e fu poi adottata massicciamente perché dava profondità all’immagine e garantiva un effetto psichedelico. Diverse etichette stamparono edizioni speciali delle copertine in versione tridimensionale. Della copertina lenticolare dell’album di Hendrix ne furono stampate solo poche copie sperimentali che non finirono sul mercato, mavendute solo a un’asta quando l’azienda chiuse i battenti. Chi oggi riuscisse a trovarle sul mercato per meno di 5mila dollari farebbe un affare.
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