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Il bravo presentatore nell’era della tele-politica

Il bravo presentatore nell’era della tele-politica

Asceso in campo La crisi della rappresentanza e l’egemonia del berlusconismo oltre Berlusconi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 giugno 2023

La fine della Prima Repubblica, la crisi del welfare e della sua capacità di mediare tra le lotte e lo sviluppo, il tracollo del sistema dei partiti attorno al quale si reggeva il sistema politico, il venire meno del compromesso fordista. Bastano questi passaggi, spesso intrecciati tra loro, per disegnare lo scenario in cui si è giocata la rapida ascesa di Silvio Berlusconi sulla scena della politica italiana. La faccia del tele-venditore è il simbolo di un processo che per molti versi è ancora in corso. Alla comunicazione la vecchia rappresentanza affida un ruolo di supplenza: se la politica non è più in grado di incidere nella struttura sociale ed economica, allora occorre che la manipolazione mediatica e comunicativa, perfezionatasi in anni di tv commerciale e di studio dell’audience e della sue dinamiche, entri in campo. Soltanto in questo modo, producendo individualismo e al tempo stesso massificazione, solitudini al calduccio del conformismo, è possibile cancellare gli antagonismi.

È un passaggio non lineare e neppure pacifico, quello rappresentato da Berlusconi, ma profondo e radicale. Tanto profondo da definire il campo discorsivo anche per chi verrà dopo di lui: gran parte degli oppositori percepiti di Berlusconi scelsero di giocare sul un campo mediatico per tentare di batterlo, di mettere in scena l’avversione al suo regime utilizzando la tv , con l’esito paradossale di confermare il frame berlusconiano e consacrare la sua egemonia.

Quando il Cavaliere dovette abbandonare Palazzo Chigi, si fece avanti una forza radicale a parole ma destinata a confermare il modello del partito-tv. La grande (e unica) intuizione di Casaleggio fu quella di gettare nel mare magnum della costituenda opinione pubblica digitale un personaggio come Beppe Grillo, con il suo capitale di notorietà acquisito in anni di presenza sul piccolo schermo. È così il compito di traghettare il sistema politico assorbendo il più possibile le contraddizioni e le tensioni accumulate in quasi trent’anni di egemonia e centralità politica, viene assunto da un altro personaggio abilissimo nelle televendite e che gli italiani hanno imparato a conoscere dalla televisione.

Schematizzando soltanto un pochino possiamo dire che il programma televisivo simbolo di questo passaggio di testimone è Striscia la notizia di Antonio Ricci, già autore di Grillo e poi artefice del divenire burletta dell’informazione. Sono diversi gli intenti e le parole d’ordine, identica è la grammatica: il cambiamento propagandato da quello che per un decennio e per due legislature (dal 2012 al 2022) è stato il primo partito italiano si è fatto avanti in un terreno dissodato e preparato dal berlusconismo. «La trasmissione la fate voi!» diceva il bravo presentatore interpretato da Nino Frassica. Il tutto era stato riassunto da Umberto Eco col concetto di neo-televisione, che ha anticipato la connessione tra dinamiche virtuale e dinamiche reali realizzatasi con le piattaforme digitali.

Solo partendo da questo assunto si spiega come il grillismo dopo il berlusconismo abbia potuto soltanto pensare di prendere d’assalto l’establishment senza organizzazione stabile, senza radicamento sociale strutturato, senza un pensiero politico coerente dal punto di vista logico.

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