La netta vittoria (55% dei voti contro il 45%) di Jair Bolsonaro mette in pericolo 30 anni di ritorno alla democrazia in Brasile. Questa volta un candidato neo fascista, apertamente favorevole alla repressione violenta di ogni forma di opposizione e organizzazione popolare, sale al potere non grazie alla forza delle armi ma a un consenso popolare basato su un pericolosissimo cocktail: da un lato un (falso) populismo nazionalista e antisistema, dall’altro l’appoggio della corrente più integralista dell’evangelismo americano, scatenato in una guerra senza quartiere a Sodoma e Gomorra.

Non è solo il Brasile che trema. Bolsonaro sarà il presidente di estrema destra in una regione dove di recente gli elettori hanno scelto leader conservatori o di destra in paesi come Argentina, Cile, Paraguay, Perù e Colombia. Il Cono sud dell’America latina corre il pericolo di precipitare – se non ai tempi orribili dell’Operazione Condor condotta dalle dittature militari di Pinochet e Videla – nella tenaglia di un blocco autoritario, neoliberista e subordinato alla politica imperiale degli Usa ai tempi di Trump.

 

Elettori di Jair Bolsonaro (Afp)

 

LE CONSEGUENZE non tarderanno a farsi sentire per il Venezuela bolivariano, che vede alle sue fontiere due governi di destra (Colombia) ed estrema destra (Brasile) pronti ad appoggiare un’eventuale azione militare «umanitaria» degli Stati uniti. E per Cuba che torna a subire una politica da guerra fredda da parte dell’Amministrazione di superfalchi di Donald Trump.

Fernando Haddad, il candidato sconfitto del partito dei lavoratori (Pt) lo ha detto chiaramente e con coraggio nel suo intervento dopo i risultati finali delle presidenziali: il Brasile popolare deve prepararsi a un periodo di resistenza e di lotta per la democrazia. Non si tratta di difendere un partito o una parte della sinistra ma di organizzare un vasto movimento popolare per la difesa della libertà di espressione e di organizzazione popolare e della vita democratica. Nel gigante sudamericano vi sono molti movimenti popolari e di lotta sociale, dai Senza terra ai Senza tetto, dagli ecologisti alle femministe. Tutti sono ora in pericolo. «O se ne vanno fuori del paese o vanno in galera», è la ricetta promessa da Bolsonaro.

IL SUO PROGRAMMA di sicurezza fa tremare le vene: pene più severe e riduzione dell’età (a 16 anni) per essere responsabili penalmente, armi per tutti e licenza d’uccidere per le forze dell’ordine, che già hanno un triste primato continentale. Secondo, il Forum Brasileiro de Segurança Pública, tenuto conto delle proporzioni tra le popolazioni, la polizia brasiliana uccide 19 volte di più di quella statunitense. A Bolsonaro però va bene così perché «un poliziotto che non uccide non è un poliziotto».

Il nuovo presidente ha promesso mano dura anche contro le riserve degli indios e le aree di conservazione dell’Amazzonia, le principali barriere di contenimento alla devastazione della più grande foresta tropicale e polmone verde del mondo. «Non avranno nemmeno un centimetro di terra». Il ministero dell’Ambiente sarà incorporato a quello dell’Agricoltura che – parola di Bolsonaro – agirà in consonanza col «settore produttivo». Ovvero lascerà «mano libera» all’agrobusiness, ai pascoli delle grandi fazendas, ai latifondisti della soja, alle attività minerarie e ai grileiros, potenti locali che si impadroniscono delle terre pubbliche a colpi di pistola. E che poi le disboscano selvaggiamente.

IL “FENOMENO” BOLSONARO – un parlamentare semisconosciuto che in 28 anni non è riuscito a far approvare un solo progetto di legge e che vede il suo partito passare da un pugno di parlamentari a 53 deputati – non si può spiegare senza l’appoggio dei poteri forti militari, economici e finanziari e dei maggiori mass media.

Perché le classi dominanti si sono sbilanciate a favore di una sorta di psicopatico come Bolsonaro, il cui prossimo governo, come afferma l’analista Xosé Hermida, promette una società polarizzata e «con licenza di odiare»? Come osserva Gramsci nei Quaderni, in situazione di «crisi organica», quando si produce una rottura nell’articolazione esistente tra le classi dominanti e i loro rappresentanti politici e intellettuali, la borghesia e i suoi alleati si sbarazzano dei loro portavoce tradizionali e cercano una figura provvidenziale che permetta di affrontare le sfide del momento.

IN QUESTO CASO le classi dominanti brasiliani si propongono di portare a compimento il “golpe” attuato due anni fa con Temer e che l’attuale presidente – e i suoi alleati conservatori – non sono stati in grado di assicurare: mettere un punto finale all’”eredità” dei governi del Pt. E iniziare un’epoca di neoliberismo con un presidente malleabile, che si affida in materia economica a un Chicago boy col turbo, Paulo Guedes, con una sola filosofia: privatizzare e privatizzare.

Di recente un noto commentatore “liberal” ha affermato che in questa fase i nemici della democrazia in America latina rischiano di essere i giudici (che in Brasile hanno messo in galera Lula) e non i generali. E che questa situazione rappresenta «un progresso» per il subcontinente. L’elezione di Bolsonaro è una solenne smentita.