Tra una concessione e l’altra alle forze conservatrici che stanno segnando il suo terzo mandato, su un punto Lula non intende arretrare: quello della lotta alla fame, da sempre il suo cavallo di battaglia. Non sorprende allora che, assumendo lo scorso dicembre la presidenza annuale del G20, la sua principale preoccupazione sia stata subito quella di lanciare un’Alleanza globale contro fame e povertà, offrendo un significativo contraltare alle politiche guerrafondaie del G7.

FORTE DEI DATI del Rapporto delle Nazioni unite sullo stato della sicurezza alimentare nel mondo (Sofi 2024), in base a cui in Brasile, nel 2023, l’insicurezza alimentare acuta è caduta dell’85% e 14,7 milioni di persone hanno smesso di soffrire la fame, Lula ha lanciato ieri la sua iniziativa, che sarà ufficializzata al vertice dei capi di stato del G20 di novembre a Rio de Janeiro, nella sede nazionale dell’Ação da Cidadania, alla presenza di autorità di altri paesi impegnate oggi e domani nella riunione dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali.

L’idea del presidente è chiarissima: «Siamo tornati per ridurre la fame in Brasile e vogliamo lavorare insieme ad altri paesi per sradicarla in tutto il mondo. È possibile costruire un mondo più giusto e meno diseguale». Sarà questo lo scopo dell’Alleanza: una sorta di piattaforma in cui far confluire risorse finanziarie, programmi sociali di successo e il gruppo dei paesi più poveri al di fuori del G20.

Se si attendono fino a un centinaio di adesioni – nel suo incontro con Lula del 15 luglio il presidente Mattarella ha già assicurato il sostegno italiano all’iniziativa – il ministro dello sviluppo, dell’assistenza sociale, della famiglia e della lotta alla fame Wellington Dias ha chiarito che, per partecipare all’alleanza, bisognerà seguire alcune regole, a cominciare dalla presentazione di un piano statale che dovrà stabilire gli obiettivi entro il 2030 per ridurre la fame e la povertà, nel quadro di politiche pubbliche già rivelatesi vincenti.

E riguardo al Brasile, proprio il paese in cui la potentissima lobby dell’agribusiness fa il bello e il cattivo tempo al congresso, l’accento delle strategie di lotta alla fame sarà posto in particolare sull’integrazione sociale ed economica dei piccoli produttori, così che siano inclusi nel mercato nazionale e globale degli alimenti sulla base del riconoscimento del nesso strettissimo tra superamento della fame e rafforzamento dell’agricoltura familiare.

MA A RIVELARSI impegnativa è l’intera missione della presidenza brasiliana del G20, chiamata ad aggirare il muro contro muro all’interno dell’organismo sui conflitti in Ucraina e a Gaza, per costruire un difficile consenso sui temi ritenuti prioritari dal governo Lula: quelli della cooperazione, della ristrutturazione del debito e della tassazione dei super-ricchi, destinata a liberare risorse da impiegare nella lotta contro il cambiamento climatico e contro le disuguaglianze mondiali.

La proposta, contenuta nel rapporto commissionato dal Brasile e curato dell’economista francese Gabriel Zucman, è quella di una tassa del 2% sui patrimoni dei circa 3mila miliardari globali, che garantirebbe un gettito annuale di 250 miliardi di dollari. E a cui affiancare, tra l’altro, una riforma dell’accordo internazionale sulla tassazione delle multinazionali, con l’applicazione di un’aliquota del 25%.

MALGRADO la freddezza di diversi paesi, a partire da Stati uniti e Germania, la responsabile della segreteria degli affari internazionali del ministero delle finanze Tatiana Rosito ha espresso ottimismo riguardo l’inserimento della proposta nel documento finale della riunione ministeriale (e qualche chance in effetti deve esserci se persino Giorgetti ha dichiarato che bisogna mettersi «d’accordo in tutto il mondo affinché questo possa avvenire»).

E ha annunciato che le dichiarazioni saranno tre: una sulla cooperazione tributaria internazionale, che dovrebbe includere appunto la tassazione delle grandi fortune; una seconda che riunirà più temi, come quello dell’architettura finanziaria internazionale; e una terza su questioni geopolitiche, al di là delle profonde divergenze esistenti tra i paesi del G20.