In vista della nota di aggiornamento del Documento di Economia e finanza (Def), previsto per il 27 settembre, ieri il ministro dell’Economia Padoan si è portato avanti con il lavoro e ha confermato: le previsioni sulla crescita fatte dal governo ad aprile saranno riviste al ribasso. Il tic-tac dell’orologio si fa sentire: il 15 ottobre va approvato il bilancio per l’anno che viene e poi inviato alla Commissione Europea. Padoan non ha però detto quanto calerà la crescita al contagocce che tiene con il fiato sospeso il Palazzo, molto meno un paese disilluso e alle prese con una crisi reale. Nel ballo del decimale il governo scommette sulla cifra tonda: l’1% del Pil.

Si aspettano le prossime stime dell’Istat che già nel secondo trimestre 2016 non ha mandato segnali positivi: crescita a zero. Se così resterà, quest’anno si rischia di restare tra lo 0,7% e lo 0,8%. In ogni caso lontani dall’1,2% vaticinato dal governo cinque mesi fa. Aggrappati a qualsiasi soffio di vento, le altre stime ballerine non aiutano. Il borsino dice: +0,8 (Confindustria), +0,9% Fmi, Bankitalia dice sotto l’1. Insomma restiamo lontani dall’agognata cifra tonda indicata dalle slide di Renzi sui primi 30 mesi di governo. Vada come vada, al di là dello stucchevole e ripetitivo gioco del tira-e-molla, Padoan ha ricordato che nel corso della crisi l’Italia ha perso 10 punti di Pil. È evidente che la crescita dello zero virgola non basterà: oggi è come svuotare il mare con un cucchiaino.

Non aiuta nemmeno l’insistenza disperata sui risultati del Jobs Act. Com’è noto dalle parti del Palazzo son tutte rose e fiori: +439 mila posti nel secondo trimestre. Ecco, il miracolo funziona. Peccato che il governo abbia sbagliato i dati: a luglio la stessa Istat ha registrato un calo di 63 mila posti. In vista del risiko di fine anno non fa bene, almeno all’equilibrio e alla credibilità di chi si cimenta in queste proiezioni, speculare su questi dati aleatorio. Il Jobs Act esiste per presentarlo al tavolo dell’Europa e della Merkel.

Tutto si regge su un filo. Ad oggi la previsione della crescita all’1,4% del Pil per il 2017 è a rischio. E la legge di Bilancio, già quest’anno, richiede parecchio: 15 miliardi di clausole di salvaguardia da neutralizzare, le risorse per le pensioni, il contratto della P.A., superammortamento per le imprese che investono, il fisco «leggero». Il responso di Bruxelles potrebbe alleviare queste e altre pene. L’irrisorio Juncker, poi, potrebbe riaprire i giochi nel suo discorso sullo stato dell’Unione Europea graziando il governo sulla richiesta – impossibile, allo stato attuale – di flessibilità anche per il prossimo anno. Anche dal 2017 – anno pre-elettorale in Italia, al netto di rovesci imprevedibili – Renzi potrebbe uscirne illeso. Ieri il presidente del Consiglio si è autoincensato: all’angolo a causa della sua rinomata disinvoltura nel trattare dati, percentuali e stime, ha sostenuto che il suo governo dice «la verità». «L’Italia ha avuto tre anni di recessione dal 2012 al 2014, abbiamo preso una macchina, l’abbiamo girata e invertita. L’Italia fa la sua parte: semplifica, taglia, riduce, diventa efficace. Diventerà il posto più attrattivo al mondo».

Si punta agli investimenti esteri, visto che la domanda interna non è all’altezza. In questa cornice il Jobs Act è un’attrattiva: la liberalizzazione dei licenziamenti, si pensa, dovrebbe persuadere gli investitori. Il paragrafo successivo delle riforme, ha ricordato Padoan, sarà «quella della giustizia civile, fondamentale per gli investimenti». Non per il cittadino che cerca giustizia. La chiave è sempre la stessa del Jobs Act. «Si lavorerà sulla produttività» ha ribadito il ministro dello Sviluppo Economico Calenda. E, dalle anticipazioni che costellano come sempre l’autunno, questo potrebbe significare anche uno scambio con i diritti( contratti) e il rilancio del sacro-graal della contrattazione aziendale ai danni di quella nazionale. A conclusione della «giornata verità» (secondo il governo), l’appello immancabile a votare «Sì» al referendum sulla Costituzione. «Migliorerà la macchina legislativa e riduce i costi». Ogni giorno, la propaganda è servita.