«Il bio cresce ma l’Italia deve arrivare al 25% del coltivato»
Nel luglio del 2022 Maria Grazia Mammuccini è stata confermata presidente di Federbio, carica che aveva già occupato nel precedente triennio. La federazione riunisce organizzazioni di tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica e ha l’obiettivo di tutelarne e favorirne lo sviluppo. Domenica 3 dicembre promuove a Bologna la «Festa del Bio» (vedi articolo in pagina), l’occasione per fare il punto sullo stato dell’agricoltura biologica e sul mercato dei prodotti certificati in Italia.
I dati presentati quest’anno a settembre 2022 al Sana dipingono un settore che vale oltre 8 miliardi di euro all’anno, tra consumi interni ed export. È un quadro pieno di luci o contiene anche chiaroscuri?
Siamo in una fase molto particolare, perché i dati elaborati da Nomisma che sono stati presentati dall’Osservatorio sul bio in occasione del Sana, e che riguardano un partenariato che coinvolge anche Federbio, Assobio e Fiera di Bologna, in collaborazione con ISMEA, evidenziano alcune tendenze un po’ diversificate: per quanto riguarda l’export c’è stato un boom, con un aumento del 16% nel periodo di riferimento, che è luglio 2021-luglio 2022. Questo ci dice che i mercati esteri apprezzano qualità, tipicità e sostenibilità e che il made in Italy biologico può essere un punto di forza per il sistema agroalimentare del Paese. Un altro dato impressionante è quello che riguarda la crescita del 53% nel consumo fuori casa (hotel, ristoranti, catering), che solo in parte si spiega col fatto che l’anno precedente era quello della pandemia perché la realtà è che nel cosiddetto canale Horeca ormai la presenza del bio è sempre più forte. Segnali di difficoltà, invece, arrivano dagli acquisti delle famiglie, per i quali si registra una stasi (- 0,8%).
Come interpretate questo risultato?
Il problema riguarda sia la Grande distribuzione organizzata, dove il dato è in pratica immutato, che le vendite nei punti vendita specializzati, che segnano un meno 8%. Il problema è la capacità di spesa, la riduzione del potere d’acquisto di fronte all’inflazione. Se vuoi, questa situazione è confermata dalla crescita (+14%) dei discount: è un segnale positivo, perché ci dice che una domanda di biologico c’è, che però pone difficoltà, perché se andiamo alla rincorsa del prezzo più basso si rischiano le stesse dinamiche legate alla distribuzione del convenzionale, con gli agricoltori che non riescono a starci.
Che cosa serve per affrontare questa situazione?
Occorre lavorare sulla legge, con il Piano d’azione sul biologico, uno strumento previsto per dotarci di strategia complessiva che riguarda la crescita della produzione, che nel 2027 dovrebbe arrivare al 25% della superficie agricola. Oggi siamo al 17,4%. Questo significa investire sul biologico nei Piani di sviluppo rurale delle Regione ma anche supportando ricerca e innovazione e una crescita dei consumi, facendo leva su informazione e comunicazione ai cittadini, per comprendere i valori fondamentali del bio. Serve un processo di educazione alimentare che ci faccia comprare meno ma meglio. Non solo il modello di produzione deve cambiare, ma anche quello di consumo. Dobbiamo mangiare meno carne e comprare prodotti di stagione, riducendo sia i costi energetici che quelli del bene al dettaglio. È fondamentale accorciare le filiere, eliminando ogni passaggio e intermediazione inutile, anche per contenere i costi: pensiamo che i distretti biologici siano uno strumento fondamentale per il fresco da alimentazione quotidiana, come frutta, verdura, latte, pane. E poi l’introduzione del biologico nelle mense, perché sono uno strumento di educazione alimentare.
Tra i temi di educazione al consumatore anche il rapporto tra fertilità e agricoltura biologica. Alla Festa del Bio portate anche la campagna «La Compagnia del Suolo».
Biologico non è solo assenza dei pesticidi, che è un valore fondamentale per la tutela della salute delle persone ma non basta: spostiamo l’accento sul fatto che l’agricoltura convenzionale sta desertificando il suolo, per l’uso massiccio di concimi, pesticidi, per il modello intensivo, mentre il principio fondante del biologico è restituire ogni anno al terreno la sostanza organica che viene usata per la produzione, con rotazioni, sovesci, consociazioni, letame. La cura del suolo è un elemento centrale, anche per ridurre l’impatto sul clima.
A metà dicembre scade l’ennesima proroga per l’uso dell’erbicida glifosato e l’Italia per la prima volta in Europa non ha votato contro il rinnovo.
È un controsenso. Il «diserbo» è una cosa superata, per tutte le colture arboree ci sono alternative e macchine di tutti i tipi per il controllo delle erbe. In più, con un po’ d’erba non si perde il raccolto e le ultime acquisizioni scientifiche evidenziano come questa pratica sia problematica per il suolo, perché va a distruggere il «microbiota del suolo», che è questa comunità di micro organismi, funghi e batteri che determinano la trasformazione dei residui organici in humus, la sostanza organica che dà la vitalità del suolo e la salute delle piante. Come si può pensare di andare avanti ancora con il glifosato, che ha un impatto negativo sulla biodiversità e sull’inquinamento delle acque sotterranee e superficiali, come spiegano i monitoraggi dell’Ispra?.
Ultimo tema caldo è quello della carne coltivata. Qual è il punto di vista di Federbio su quello che viene definito «cibo sintetico» o «cibo «cellulare»?
Queste alternative possibili al consumo di carne, per noi non lo sono. Siamo di fronte a una deriva tecnologica, mentre noi crediamo in un allevamento sostenibile, legato alla terra, con animali che devono stare al pascolo. Puntiamo a una riduzione dei capi allevati, a un consumo più responsabile di carne, carne di buona qualità, allevata secondo il principio del benessere animale. Allevamento bio o al pascolo estensivo. Quello intensivo non è sostenibile e dev’essere superato. L’alternativa per noi è questa: il sistema di allevamento deve rimanere in mano agli agricoltori e alla comunità locali, non a sistemi tecnologici multinazionali che niente hanno a che vedere con il settore primario. Per questo abbiamo scelto di sottoscrivere l’appello di Coldiretti.
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