Il Big Bang visto da vicino
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Il Big Bang visto da vicino

L'alba dell'universo Arrivano le prime immagini dal telescopio spaziale James Webb, che permette di osservare l’universo lontano con un dettaglio senza precedenti e promette di rivoluzionare la nostra idea del cosmo. Ma anche un grandioso spettacolo scientifico organizzato dalla Nasa

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 13 luglio 2022

Sono arrivate le prime immagini provenienti dal telescopio spaziale James Webb (Jwst), il telescopio spaziale lanciato sei mesi fa con l’obiettivo di scrutare il cosmo con un dettaglio mai raggiunto prima. È il successore del telescopio spaziale Hubble, che da tre decenni orbita intorno alla Terra. Il Jwst viaggia a circa un milione e mezzo di chilometri dal noi, libero dall’offuscamento delle immagini causato dall’atmosfera ai telescopi al livello del mare. I 6 metri di diametro dello specchio del Jwst osservano la luce proveniente dal cosmo alle lunghezze d’onda dell’infrarosso.

Dopo l’anteprima notturna alla presenza del presidente statunitense Joe Biden a caccia di consensi elettorali, la Nasa ieri ha svelato altre quattro immagini in alta risoluzione realizzate nelle prime settimane di funzionamento dal telescopio. Le “foto” ritraggono una porzione dello spazio profondo con una nitidezza prima irraggiungibile, una nebulosa piena di stelle in formazione, un quintetto di galassie legate tra loro dalla gravità, la bolla di polveri lasciate da una stella defunta, l’analisi chimica dell’atmosfera di un pianeta a mille anni luce da noi. Una sorta di «showcase» di quello che potrà fare il telescopio nei prossimi anni, con potenziali ricadute in ogni campo della cosmologia e dell’astrofisica. Lo sviluppo del telescopio è durato oltre trent’anni ed è costato circa dieci miliardi dollari. L’idea originaria venne all’italiano e premio Nobel Riccardo Giacconi nel 1989, prima ancora che lo stesso Hubble fosse lanciato. Nella sua gestazione ha attraversato varie peripezie che ne hanno ritardato la partenza di diversi anni. L’ultima controversia ha riguardato la sua denominazione. James Webb è il nome dello storico direttore della Nasa nei ruggenti anni ‘60, responsabile dell’allontanamento dall’Agenzia dei dipendenti omosessuali. Pochi mesi fa, una petizione sostenuta da oltre mille scienziate e scienziati aveva chiesto invano che la Nasa cambiasse il nome al telescopio.

Con queste premesse, che tutto funzionasse alla perfezione non era dato per scontato. E ora nella comunità scientifica c’è una notevole eccitazione. Adriano Fontana, dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Astrofisica, aspetta i primi dati del telescopio per le sue ricerche sulla formazione delle galassie nelle fasi iniziali dell’universo. «Arriveranno giovedì, li attendiamo con ansia. Non ho dubbi che il telescopio poterà a un cambio di passo in molti campi dell’astrofisica» spiega presentando al pubblico le immagini del Jwst al Planetario di Roma, «si tratta di uno strumento che è dalle cento alle duemila volte più sensibile degli strumenti precedenti».

Anche dalle prime immagini si può assaggiare questa potenzialità. Sullo sfondo dell’immagine dell’ammasso di galassie SMACS 0723 – quella svelata da Biden – si intravedono galassie così lontane che la loro luce, attraversando l’universo a trecentomila chilometri al secondo, viaggia da 13 miliardi di anni fa. La foto, dunque, ce le mostra com’erano appena 800 milioni di anni dopo il Big Bang. Uno strumento capace di guardare così lontano permette anche di viaggiare nel tempo e osservare fenomeni avvenuti quando l’universo si era appena formato. «Quell’immagine ci dà la possibilità di ricostruire la composizione di quelle galassie, la velocità con cui si muovono, la loro forma». 

Con questa profondità di campo, il telescopio aiuterà a confermare o smentire la teoria dell’evoluzione del cosmo più accettata dagli scienziati, il cosiddetto «modello lambda cold dark matter». Secondo il modello, l’universo si è espanso a partire da un volume molto piccolo (il Big Bang) e dapprima a velocità vertiginosa (la cosiddetta «inflazione cosmica»), continuando poi a allargarsi e a dare vita a stelle, galassie e ammassi sotto la spinta delle forze descritte dalla relatività generale di Einstein o di fattori poco conosciuti come la materia e l’energia dette «oscure» perché non abbiamo idea di cosa siano fatte ma rappresentano il 90% dell’universo. Il telescopio potrebbe inoltre osservare le misteriose stelle della «Popolazione 3» nate nell’universo primordiale, le «madri» di tutte le stelle: al loro interno si sarebbero formati i metalli presenti nelle stelle attuali. Nell’obiettivo del telescopio ci saranno anche le galassie più lontane e la composizione chimica dell’atmosfera dei pianeti extrasolari, alla ricerca di vita extraterrestre.

Il telescopio è un’impresa congiunta delle agenzie spaziali statunitensi (Nasa), europee (Esa) e canadese (Csa). Uno dei responsabili del suo funzionamento è l’italiano Mario Gennaro, ricercatore allo Space Telescope Science Institute di Baltimora e vice-responsabile operativo dello strumento Nircam, il principale rilevatore montato sul telescopio. Gennaro ha potuto visionare le immagini tra i primi ma è ancora ipnotizzato da quella arrivata dalle vicinanze del Big Bang, la cui qualità stupisce anche lui. «Le immagini su cui lavoriamo noi scienziati sono molto diverse da quelle pubblicate. Le nostre sono molto più grezze e non sono colorate come appaiono. A partire dai dati primari è stato fatto un capolavoro di elaborazione visuale da parte dei maghi dell’immagine della Nasa. Fanno un mestiere a metà strada tra la scienza e l’arte». Il risultato, a giudicare dalle prime immagini, è notevole. 

L’attenzione dedicata alla comunicazione da parte della Nasa, vera regista di questo grandioso spettacolo scientifico, non ha eguali. La suggestione grafica serve anche a portare dalla propria parte l’opinione pubblica, in un momento in cui spendere dieci miliardi di soldi pubblici dei contribuenti nordamericani e europei per guardare il Big Bang da vicino può far storcere il naso. 

La questione è reale, ammette Fontana. «Finanziare progetti di Big Science così costosi, come il Jwst e il Cern a Ginevra, dove si vuole costruire un acceleratore di particelle lungo cento chilometri, diventa sempre più difficile. Non solo per il periodo storico poco sereno che viviamo. È che si stanno raggiungendo i limiti di ciò che è materialmente fattibile, anche in campo astronomico». Ma le ricadute tecnologiche potrebbero ripagare il biglietto. «L’astrofisica è anche un grande banco di prova per le tecnologie quindi il bilancio tra costi e benefici è positivo anche dal punto di vista economico» spiega Fontana. «Ma il primo obiettivo di un telescopio rimane scoprire la nostra posizione nel cosmo. E continuare a meravigliarsi».

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