Cerchi che si chiudono, cerchi che si aprono per crearne di nuovi. Il passato che si sporge sul futuro, da questo presente, il futuro che tende le mani al passato. Il Banco del Mutuo Soccorso è un cerchio senza fine che ha generato tanti altri cerchi, miriadi di gruppi che a quell’esperienza si riferiscono, da decenni. Mezzo secolo fa, all’inizio della circonferenza, la più struggente voce del progressive rock italiano, quella di Francesco di Giacomo, iniziò a dar suono e corpo all’Orlando di Ariosto, la creatura più misteriosa e leggera della nostra letteratura: in molti ricorderanno quell’incipit di In volo in cui Di Giacomo recitava «Lascia lente le briglie del tuo Ippogrifo, O Astolfo, e sfrena il tuo volo dove più ferve l’opera dell’uomo…». Perché, raccontava qualche tempo fa Vittorio Nocenzi, saldamente alla guida del Banco 2022, «L’Orlando è il capolavoro del nostro Rinascimento, è di una contemporaneità disarmante: le sue storie fanno parte dello ieri e dell’oggi in modo incredibile.

L’ORLANDO ci parla della natura umana e dei suoi sentimenti più importanti». E siccome il Banco, sempre per usare le parole di Di Giacomo che hanno dato titolo a un disco, è «un’idea che non puoi fermare», mezzo secolo dopo l’esordio ecco arrivare in volo l’ippogrifo che porta in sella Astolfo, direzione luna, a recuperare il senno perduto di Orlando: la luna, nella bella immagine di copertina, è contemporaneamente anche il leggendario «salvadanaio» che racchiudeva il primo vinile del Banco. Il titolo del nuovo lavoro – in uscita oggi – al completo è Orlando – Le Forme dell’Amore (per Inside Out Music / Sony). A dimostrazione pratica, ed assai poetica, in fondo, di come le epoche si diano la mano, l’Orlando di oggi è frutto di un’idea di Michelangelo, terzo figlio di Vittorio Nocenzi, pianista e compositore: un’idea del 2013 che Di Giacomo ha fatto in tempo a conoscere ed approvare, e che è stata «lavorata» per anni, assieme al romanziere e sceneggiatore Paolo Logli. Il grandioso canovaccio di Orlando ariostesco (a propria volta «figlio» di quello del Boiardo) va a intersecarne uno contemporaneo, con i segni dolorosi di un presente in odore distopico che stiamo già saggiando: un «non tempo» in cui il Mediterraneo è ridotto a terra riarsa, un’unica sorgente d’acqua potabile presidiata da arcigni «guardiani dell’acqua», pronti a respingere le carovane degli assetati. Saraceni.

Ma, nei quindici brani che complessivamente ricostruiscono le possibili «forme dell’amore» (con un’Angelica ben determinata a non essere solo mero oggetto delle brame maschili) c’è anche un riferimento al tango,

LA MUSICA è di complessa, stratificata densità: incorpora ora scale modali che rimandano alle culture arabe, ora armonie occidentali sinfoniche e pucciniano lirismo. Ma, nei quindici brani che complessivamente ricostruiscono le possibili «forme dell’amore» (con un’Angelica ben determinata a non essere solo mero oggetto delle brame maschili) c’è anche un riferimento al tango, con tanto di respiro passionale di un bandoneon, oasi timbriche e percussive debitrici di Frank Zappa, gli strumenti che si fanno «voci» mimetiche delle situazioni, duettando con la voce duttile di Tony D’Alessio, erede designato di Di Giacomo saggiamente lontano dal ruolo di «clone» di chi è inimitabile.
Ospiti graditi Michelangelo al piano e Viola Nocenzi alla voce, e uno strepitoso Carlo Micheli al sax tenore. Un gran disco, si sarà compreso, che cresce ad ogni riascolto: si astengano ascoltatori frettolosi: Orlando è un viaggio, non un selfie.