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Il 25 luglio del Cavaliere

Il 25 luglio del CavaliereEnrico Letta e Angelino Alfano – Giampiero Sposito - Reuters

Centrodestra Terremoto nel Pdl, Alfano e i «moderati» si ribellano: votiamo la fiducia. Inutile pressing su Berlusconi, che non arretra e rilancia: Napolitano e Letta inaffidabili, hanno permesso il mio assassinio politico

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 2 ottobre 2013

Il 25 luglio di Silvio Berlusconi arriva d’ottobre. Come il primo cavaliere, anche il secondo sapeva sin dall’inizio con cosa avrebbe dovuto fare i conti ma era certo, per antichissima abitudine, di poter riportare la situazione sotto controllo solo alzando un sopracciglio. Non è stato così. Come Benito era fiaccato dai disastri sul fronte bellico, così Silvio lo è da quelli sul fronte della giustizia. Così gli usi a obbedire tacendo trovano il coraggio di alzare la voce.
Sin dalla notte i ministri si ribellano apertamente, tutti, anche la tiepida Di Girolamo. «Le dimissioni sono un errore» ripetono, e col tono di chi non pensa affatto che sbagliare col capo sia meglio che avere ragione contro di lui. Di lì a poco faranno filtare l’ipotesi di revocare le dimissioni irrevocabili.
La scena si ripete quando a metà mattinata arrivano a palazzo Grazioli i capigruppo, Verdini e soprattutto Alfano. Il prediletto non si piega. «Noi appoggeremo Letta e questo dovrebbe fare tutto il Pdl. In caso contrario ci divideremo e non saremo soli. Siamo la maggioranza».
Non è vero. La campagna acquisti è in corso, dà i suoi frutti ma non sono tali da essere davvero tranquilli. L’area di Comunione e Liberazione è attivissima, martella di telefonate deputati e soprattutto senatori. Ma due componenti forti del gruppo al Senato, i campani e i pugliesi, a sorpresa, restano fedeli all’assediato. I siciliani, come anticipato dal sottosegretario Castiglione nelle dichiarazioni rubate da Piazza Pulita, passano invece compatti nelle file dei responsabili, senza nemmeno aspettare che Alfano sciolga le ultime riserve. Secondo bisbigli insistenti ma non confermati sarebbe pronto a saltare il fosso lo stesso capogruppo Schifani. Per ore circolano cifre da capogiro. «Siamo decine e decine – sussurra un collaboratore del vicepremier – e col nostro voto la fiducia è assicurata. Ma non significa che vogliamo rompere con Berlusconi. Ci dividiamo in questa occasione per poi tornare insieme, noi Pdl-Ppe e loro Forza Italia».
Alla fine è Carlo Giovanardi a spararla grossa. «Siamo già 40», esulta, ma è tattica mediatica. La cifra è giusta, ma mette insieme 24 deputati, inutili ai fini del vero scontro frontale, quello del Senato, e 16 senatori, invece davvero fondamentali. Però non bastano. Così continua la campagna acquisti e divampa la battaglia delle informazioni false. Berlusconi ci ha ripensato. Sta per ribadire la fiducia in Letta. E’ pronto al passo indietro. E dall’altra parte: i transfughi sono pochi, pochissimi. Alle 20 nemmeno Letta sapeva quanti fossero.
Tra Berlusconi e l’ennesimo ex delfino fedifrago è in corso una guerra dei nervi in cui ciasscuno mira a far cedere l’altro. Il capo mette sul piatto della bilancia quel ruolo di primo piano nel partito per Alfano necessario per controbilanciare l’arroganza dei duri. Daniela Santanchè offre la sua testa: «Se sono io il problema sono pronta a farmi da parte». Parole che suonano più come una provocazione che come una prova di disponibilità, e che come tali vengono comunque prese dai ribelli.
Non basta. Alfano ormai marcia spedito per la sua strada. Berlusconi non è da meno. Alle 15, mentre i boatos lo danno per ammansito, invia una lettera di fuoco a Tempi – «Ho scelto di porre un termine al governo». Rifiutandosi di difenderlo, Letta e Napolitano hanno minato «le basi della democrazia parlamentare», si sono dimostrati inaffidabili, lasciando che «si procedesse al suo assassinio politico per via giudiziaria». Termini fortissimi persino per Silvio Berlusconi. Senza ritorno. Parole che il capo abbandonato e ferito ripete poco dopo, in un’intervista a Panorama.
Non pago, gioca un’arma di distruzione di massa: dopo l’ennesimo oltraggio, Marina sarebbe pronta a scendere in campo. I traditori, nelle urne, dovranno competere ancora con il nome Berlusconi. Infine, nell’ennesimo vertice serale a palazzo Grazioli, convoca i segretari regionali, quasi tutti falchi, col palese intento di intimidire gli ammutinati.
La verità la scopriremo solo oggi. Se i senatori decisi a votare la fiducia contro il capo non basteranno, per Berlusconi sarà il trionfo. Altrimenti il 25 luglio avrà avuto il suo puntuale esito. Ma c’è una terza possibilità: una fiducia risicata, ottenuta grazie ai senatori a vita o all’appoggio in extremis di Sel, la trasformazione del governo Letta in un clone del secondo governo Prodi, sarebbe per Napolitano e Letta una vittoria di Pirro. «Con una maggioranza così – dichiara un senatore rapace – possono sopravvivere. Non governare».

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