Ideologia dello sfogo e politica democratica
Verità nascoste La rubrica a cura di Sarantis Thanopulos
Verità nascoste La rubrica a cura di Sarantis Thanopulos
L’insofferenza nei confronti del distanziamento sociale è in aumento.
Un eventuale nuovo lockdown appare di difficilissima gestione sul piano economico e sociale, ma soprattutto sul piano psicologico. Gli effetti negativi della quarantena si fanno sentire molto più di prima ed è una percezione comune di tutti che ci stiamo ammalando psichicamente. La claustrofilia iniziale, una tendenza diffusa in risposta alla paura del contagio, sta evolvendo in claustrofobia, fenomeno evidente soprattutto tra i giovani e, in modo più represso, silenzioso, tra gli anziani. La tonalità depressiva dell’umore generale è evidente. La paura nei confronti degli altri, a lungo vissuti come fonte di contagio, ha facilitato l’elemento paranoico nelle nostre relazioni.
Nell’insieme si è intensificato il carattere depressivo/paranoico della società contemporanea che ha giocato un ruolo decisivo nella nostra difficoltà a sviluppare una coerente politica preventiva nei confronti di pandemie troppo ricorrenti per non comprendere che il pericolo di una perdita del controllo su di esse si stava avvicinando. Pensare che l’assetto depressivo/paranoico della parte ammalata della psiche collettiva non interferisca con i nostri sforzi di venire a capo di una continua emergenza e dello stato d’eccezione che essa comporta, è ingenuo.
Il valore politico della gestione della pandemia sta nella capacita di uscire il più rapidamente possibile dall’emergenza e di ristabilire il pieno funzionamento della vita democratica. Ciò significa che devono essere affrontate risolutamente le cause che hanno determinato la nostra impotenza e la nostra mancanza di lungimiranza. Grave sarebbe l’errore di pensare che la soluzione verrà dai tecnici.
La medicina, la risorsa più pregiata per affrontare la questione sanitaria, è una scienza laica. È molto più di una tecnica, richiede una forte ricchezza di emozioni umane che la rende ragionevole. Non è strumento né oggetto di fede e non può essere piegata a interessi di parte senza un grave danno della Polis. Lavora perché i benefici dei trattamenti siano di gran lunga superiori dei loro inevitabili inconvenienti. Se opera in condizioni decenti non dà risultati certi, ma affidabili.
Nel lockdown decisione medica e decisione politica si sono molto spesso sovrapposte e questo ha creato confusione. La buona politica deve fare chiarezza. La gestione della pandemia supera ampiamente il campo medico, pone questioni psicologiche che non si identificano con la medicina e questioni culturali, economiche e sociali che non coincidono per nulla con la necessità sanitaria. Politica e medicina devono collaborare, mantenersi distinte e separate e non pestarsi reciprocamente i piedi.
Il più importante errore di impostazione nella gestione della pandemia (al netto delle interferenze da parte delle forze che sulla convivenza con il contagio hanno scommesso e scommettono) è stato commesso sul piano psicologico. È stato privilegiato e alimentato il sentimento della paura come collante della solidarietà collettiva. È stata dimenticata la lezione di Hanna Arendt: nessun rapporto umano è più precario della fratellanza che può essere messa in atto soltanto in condizioni di imminente pericolo di vita (Sulla violenza). La scelta sbagliata e reiterata ci spinge oggi nell’ideologia dello sfogo delle “emozioni negative” prodotte dalla comprensione fobica della psiche individuale e collettiva. Questa potrebbe essere un’eredità disastrosa per la democrazia. Chi si vaccina dovrebbe farlo per proteggere se stesso e gli altri (un gesto responsabile in difesa dell’interesse comune) non per poter andare in discoteca.
Alla logica dell’impero romano è necessario opporre la logica della Polis. Che costruisce la fratellanza sulla consapevolezza degli errori compiuti, la loro assunzione responsabile e la costruzione di una prospettiva di trasformazione profonda di un mondo diventato invivibile.
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