Visioni

Identità golose, la cultura si scopre a tavola

Identità golose, la cultura si scopre a tavola

Eventi La tre giorni milanese (9-11 febbraio) per il decennale del congresso di alta cucina italiano

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 8 febbraio 2014

Italia, questa sconosciuta. Non tutta, di una parte siamo molto bene al corrente, ma non è in questa sede che ci vogliamo intristire. L’Italia che vale si diceva una volta. Quella che fa le cose da sola, che va contro il pregiudizio, i luoghi comuni, gli stereotipi. Questo è un paese dove se sostieni delle posizioni devi per forza avere un certo tipo di comportamenti; dove se ti occupi, per esempio, di finanza, il tuo è un pensiero affidabile, sei libero di esprimerlo e il tuo stipendio, giustamente, è da capogiro. Se, invece, sei uno che lavora nella cultura, ciò che dici sarà sempre opinabile, perché basato sull’etica, valore discutibile di questi tempi, e per quel che riguarda i compensi, parliamone altrove. Come dicevamo non è questa la sede per intristirsi. Festeggiare un compleanno, invece, è uno dei migliori modi per rallegrarsi.

Identità Golose, il più importante, forse l’unico, congresso di alta cucina italiano, compie quest’anno 10 anni. L’edizione numero 1 si tenne a Palazzo Mezzanotte a Milano e durava un paio di giorni. La sera del primo, Paolo Marchi, l’ideatore, una volta a casa si sorprese a pensare che fosse stato tutto un sogno e che sarebbe probabilmente svanito il giorno dopo. Non fu così. Da lì in avanti, e in tutte le altre successive edizioni, spostatesi nel tempo al MiCo di Via Gattamelata, di gente ce ne sarebbe stata tanta. Sempre di più. Quello fu l’embrione dell’attuale, diffusissima, passione per il cibo e per questo mondo che per tanti anni non ha avuto alcuna allure, anzi è stato bistrattato, misconosciuto, umiliato. E per le persone che lo rappresentano, a vario titolo e ruolo. E ci è voluto un damerino come Marchesi (mai cognome fu più adeguato) con il suo talento e il suo savoir faire per riuscire a cambiare un po’ l’atteggiamento diffuso. Certo, gli anni ’80 furono utili in questo senso, con le loro potenzialità di ricchezza, di lusso e di sperimentazione artistica. Oggi non si sperimenta più. Non ce lo si può permettere. Devi essere un genio. O un pazzo.

Spesso, i grandi cuochi sono tutti e due. «Dietro un grande cuoco ci sono dei grandi pensieri» dice Marchi. Molti, di quella generazione tra i 40 e i 50 anni, sono stati gli apripista sia del passaggio culturale che del fenomeno mediatico cui stiamo ora assistendo. Abbiamo personaggi come Davide Scabin, Carlo Cracco (e chi non lo conosce oggi? Anche lui, però, rischiò grosso, a tuo tempo), Massimo Bottura «gente che ha avuto coraggio imprenditoriale. Osando. Sui prodotti, sui piatti. Che è uscita dai nostri confini da sola, perché avessero dovuto o dovessero, attualmente, fare affidamento sulle istituzioni non avrebbero avuto alcuna possibilità» continua Marchi «basta vedere la posizione del Ministero dell’Agricoltura che dovrebbe essere centrale, nella nostra economia, e invece è assolutamente marginale. Forse con l’Expo del prossimo anno chi di dovere inizierà a capire qualcosa. C’è una scarsa intelligenza e anche una certa meschinità intellettuale dei nostri amministratori che concentrano le attenzioni intorno alla cosiddetta grande industria tralasciando, del tutto, l’impegno e le qualità dei singoli. Che non sono solo i cuochi, va detto, ma anche i poeti, i direttori d’orchestra…chi può dare lustro a questo paese!»

La cosa interessante è che, a una sorda cecità istituzionale, corrisponde un’ossessiva attenzione di pubblico, stampa e aziende di settore e non. Non ci stupisce quindi più di tanto che attorno alla manifestazione si sia creato grande interesse. Tale da farla sbarcare a Londra e a New York «Siamo andati nel mondo perché crediamo nei cuochi italiani. Perché anche noi possiamo essere innovativi e capaci di ragionare sul futuro. Non si vive solo di bei panorami e piazze antiche. È necessario superare l’immagine scontata che si ha di noi».

Ma ritorniamo all’inizio di questo articolo: l’Italia che ci piace è capace di scommettere. E il coraggio dà allegria, rafforza e rende vincitori. Quell’Italia, che si occupa di cibo seriamente, come di un valore, come di un bene prezioso e di cui andare orgogliosi, non solo si mette in pari con il resto del mondo ma è pronta a dare il suo contributo insostituibile. Il focus di Identità 2014 si chiama: Golosa Intelligenza «quella per cui la salute inizia a tavola. Un buon cuoco, oggi, è quello che non sfonda il suo cliente ma considera centrale il connubio gola-benessere. Fondamentali in questo processo sono i vegetariani e i vegani, con la loro ricerca. Oggi un piatto sano vuol dire buono, un tempo era solo tristezza».

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