Identità di genere e identità sessuale
Verità nascoste La rubrica a cura di Sarantis Thanopulos
Verità nascoste La rubrica a cura di Sarantis Thanopulos
Nell’articolo 1 del DDL Zan si legge: “a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; (…) d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.”
L’impostazione dell’articolo è impropria per un testo di legge. Nel confronto delle idee le diverse definizioni dei sessi e della sessualità sono tutte legittime e fanno parte del dibattito necessario per lo sviluppo di un pensiero collettivo. Che un particolare punto di vista acquisti forza di legge e un’idea, tra altre, diventi norma per tutti, è un arbitrio da evitare.
Entrando nel merito delle concezioni contenute nell’articolo, colpiscono le evidenti contraddizioni e la mancanza di rigore. La distinzione tra “sesso biologico” e “senso anagrafico” avrebbe avuto senso se il secondo termine fosse riferito alla possibilità di un’attribuzione di sesso non corrispondente alla biologia. Ma questa diversa possibilità di configurazione identitaria viene subito dopo legata al “genere” e non più al “sesso”. Il sesso anagrafico, sospeso nel suo significato, disvela la pretesa di un’identità astratta, nominale che il disegno di legge insegue nelle sue premesse.
Tradizionalmente il termine “genere” definisce il “sesso sociale”, cioè l’influenza della società sulla percezione/concezione del nostro sesso. Questa influenza produce un condizionamento interiore che non sempre si estrinseca con un comportamento esteriore. Nel testo, invece, il “genere” viene definito (in modo vago) come manifestazione “esteriore” conforme o difforme alle aspettative sociali. Per riapparire, confusamente come “identità di genere”, intesa come identificazione di sé con questa manifestazione, anche quando -si scrive- la “transizione” non è conclusa (si allude forse all’intervento chirurgico, ma la sintassi logica è scadente).
Nell’insieme si delineano come unica alternativa alla riduzione del “sesso” alla biologia, i comportamenti che fanno identità, collocati, di fatto, a metà strada tra uno spazio di finzione e uno spazio di reclusione.
Si cancella l’intero mondo psichico fatto di desideri, sentimenti e pensieri, come se non avesse importanza nella nostra costituzione identitaria associata alla differenza dei sessi. Gli esseri umani, seguendo questa prospettiva, non sarebbero altro che macchine biologiche o marionette che si muovono in senso conforme o difforme rispetto a un “testo” di cui non sanno niente.
Le premesse del disegno di legge eliminano l’identità sessuale. Essere donna o uomo è privo di senso senza un legame con la sessualità, gli esseri umani sono esseri erotici, sessuali. L’appartenenza a un sesso biologico diventa vera identità se a questo sesso corrisponde un corpo erotico e questo corpo è in partenza relazionale. Esiste solo in relazione ad altri corpi con cui stabilisce legami di desiderio, è un corpo “psichicamente” vivo che sente, pensa, ama. Può amare in senso eterosessuale, omosessuale, in entrambi i sensi.
L’identità sessuale radicata nella nostra materia psicocorporea, è un bene inalienabile che non può essere conformato a schemi normativi. Il diritto di viverla in modo soggettivo, anche quando contraddice la biologia e l’anatomia (con tutte le privazioni che ciò comporta), e il diritto di seguire le proprie inclinazioni sessuali, sono parte della libertà personale.
Difenderli contro ogni forma di discriminazione e aggressione è un dovere della Polis democratica che per farlo non ha bisogno di trasformare l’omosessualità, la bisessualità e la transessualità (o l’identità sessuale “fluida”) in valori metafisici (mal definiti), a sé stanti.
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