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Identikit della casta in divisa

Identikit della casta in divisaMilitari egiziani presidiano le strade – Reuters

Militari In primo piano o dietro le quinte: il potere politico dei generali. Aiutata dalle divise nella scalata al dopo Mubarak, la Fratellanza viene oggi lasciata sola

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 3 luglio 2013

Appena eletto, il presidente egiziano Mohammed Morsi, dopo un affollato giuramento in piazza Tahrir, ha tenuto il suo primo discorso all’Università del Cairo. E’ stata una delle rare occasioni in cui l’intera giunta militare è apparsa insieme in pubblico. Ambasciatori e politici erano seduti accanto al maresciallo Hussein Tantawi e al luogotenente maggiore, Sami Annan. Ma i giovani sostenitori dei Fratelli musulmani gli gridavano contro dagli spalti («Abbasso, abbasso il governo militare»). I vecchi generali apparivano sempre più irritati, finché uno di loro si alzò al centro dell’auditorium e fece un gesto: mano nella mano, «l’esercito e il popolo sono mano nella mano», urlò il pubblico. Dopo 16 mesi, il Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf) stava restituendo il potere a un presidente eletto ma con un’autorità limitata.

L’esercito egiziano, durante tutti i principali movimenti sociali, ha agito in difesa dell’élite politica al potere e consolidato i suoi privilegi economici. Contrario da sempre ai movimenti rivoluzionari e operai, fin dalle rivolte del 1919. Dopo la presa del potere del Consiglio del Comando rivoluzionario (Ccr) nel 1952, l’esercito avversò i movimenti anti-regime, soprattutto la base popolare di comunisti e Fratellanza, percepiti come un pericolo.

Per essere accettati dagli egiziani come protagonisti anti-rivoluzionario, Ccr prima e Scaf poi hanno costruito nel tempo un’immagine di salvatori delle sorti del paese, imbevuta di nazionalismo. Ricorrendo a bandiere e inni, élite politica e militare hanno cercato di nascondere ogni antagonismo. È in nome di questa apparente saldatura che l’esercito e Hosni Mubarak hanno promosso l’islamizzazione dall’alto, ricorrendo al sostegno finanziario delle organizzazioni internazionali e a una radicata alleanza militare con Israele e gli Stati uniti.

Quando in nome delle politiche di liberalizzazione economica (infitah) si sono «ritirati» dallo stato, i militari hanno premuto l’acceleratore sulla difesa corporativa. Se da una parte si sono trasformati in élite imprenditoriale, dando a ufficiali, o a civili a loro connessi, ruoli di gestione economica, dall’altra, per la minaccia di guerre regionali, hanno posto sotto il loro controllo una quantità sempre maggiore di spesa pubblica e di aiuti militari internazionali (solo quelli statunitensi raggiungono la cifra di 1,5 miliardi l’anno). Sono diventati editori dei maggiori quotidiani, hanno acquisito il controllo delle industrie di produzione di prodotti per uso civile, dalle lavatrici ai medicinali, al di fuori delle tradizionali industrie di armamenti e tecnologia militare.
E così l’esercito controlla oggi in Egitto industrie che producono o lavorano beni di prima necessità dal latte alla carne fino al pane. Non solo, i militari sono impegnati nell’industria turistica con il controllo diretto di alberghi e grandi resort. Contemporaneamente, hanno accresciuto il loro grazie ai vantaggi accordati dall’élite politica: manodopera a basso costo, esenzioni fiscali e nelle regole per la costruzione di immobili, sussidi e privilegi monopolistici.

Con la caduta di Mubarak e la Dichiarazione costituzionale del febbraio 2011, il Supremo Consiglio delle Forze Armate ha avuto gioco facile nell’imporre procedure elettorali precipitose. Quando poi l’escalation delle violenze è diventata ingestibile, gli ufficiali hanno emesso decreti e dichiarazioni usando la stessa retorica nazionalista per giustificare la loro presa del potere e fermare ogni compimento delle volontà rivoluzionarie. «Coerenza interna», «dovere storico», «solidarietà», «cooperazione», «dalla parte del popolo»: sono le parole più frequentemente usate in queste dichiarazioni per innescare un senso di appartenenza nazionalistica e rappresentare l’esercito come difensore di unità e stabilità. Come se non bastasse, le alte uniformi hanno rilanciato la loro immagine attraverso programmi televisivi di propaganda e grandi poster. Una delle immagini più significative, presente nelle strade principali, caserme e luoghi pubblici, rappresenta un soldato con in braccio un bambino, come simbolo di unità tra esercito e popolo.
Infine, la Fratellanza, che in queste ore potrebbe essere abbandonata al suo destino con la richiesta di dimissioni di Morsi, è stata usata come delegato temporaneo dell’esercito e movimento anti-rivoluzionario. Dopo le proteste del 2011, i Fratelli musulmani hanno monopolizzato e alterato le richieste dei movimenti e ottenuto una certa autorità. L’esercito ha adottato quindi la Fratellanza per ripristinare un’immaginaria distinzione tra élite politica e militare, per compiere i propri interessi anti-rivoluzionari e in difesa delle conquiste corporative post-coloniali. Ora però sono diventati una forza scomoda.

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