Scuola

Ianes: «Per evitare il ghetto bisogna ridurre gli alunni per classe»

Ianes: «Per evitare il ghetto bisogna ridurre gli alunni per classe»Presidio della Filt Cigl dei lavoratori della scuola davanti alla sede dell’Istituto Iqbal Masih di Pioltello; in basso Dario Ianes – LaPresse

Intervista «La scuola ha il compito di valorizzare le differenze e lavorare per includere», spiega Dario Ianes, docente di pedagogia presso l’Università degli studi di Bolzano, che al ministro Valditara dice: «Vogliamo che le classi siano eterogenee con bambini e bambine di ogni cultura e religione? Riduciamo il numero di alunni e mescoliamo, anche al liceo»

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 30 marzo 2024

Dario Ianes è docente di pedagogia presso l’Università degli studi di Bolzano, provincia autonoma, dove vige l’obbligo del bilinguismo. I suoi studi in questi anni si sono concentrati sul tema dell’inclusione e sulle sue possibili declinazioni.

Professor Ianes cosa ha pensato appena ha letto le dichiarazioni del ministro Valditara sulle percentuali massime di alunni di origine straniera nelle classi?

Nulla di nuovo, di percentuali parlava già l’ex ministra Maria Stella Gelmini 15 anni fa. Questa esternazione di Valditara mi sembra sia perfettamente nel solco delle storiche proposte in ambito scolastico delle destre di questo paese.

Il ministro leghista non si è limitato a proporre le percentuali massime di alunni di origine straniera nelle classi ma ha anche parlato di necessità di “ancoraggio al nostro sistema valoriale”. Una retorica che abbiamo già conosciuto in passato.

Il ministro non solo fa proprio uno dei pilastri del “salvinismo”, l’avversione verso “lo straniero”, ma riprende un tema caro anche ai “patrioti” di Giorgia Meloni che, in questi due anni di governo, hanno infilato il tema dell’“italianità” per giustificare moltissimi loro provvedimenti. Dal Liceo del “Made in Italy” alla nuova proposta di “scuola italianissima” dove lo sfondo per l’integrazione diventa l’Italia, quasi come organizzatore del curricolo scolastico.

Valditara però non parla esplicitamente di “italianità” ma della necessità di una nuova “inclusione” affinché gli «stranieri si assimilino sui valori fondamentali inscritti nella Costituzione».

L’inclusione non è assimilazione ma convivenza e rispetto verso le nostre singole differenze. La scuola ha proprio il compito di valorizzare le differenze e, attraverso la valorizzazione, lavorare per includere. L’assimilazione ne è invece il suo contrario: «voglio che diventino come me» anche se non gli do neppure il diritto alla cittadinanza italiana. È uno strano discorso questo che contraddice proprio gli studi della moderna pedagogia. L’eterogeneità è un principio fondante del discorso pedagogico, noi dobbiamo lavorare perché le differenze si mescolino, siano arricchenti le une per le altre ed «eguali senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», lo dice la Costituzione.

Il problema delle classi o delle scuole “ghetto” però esiste.

Cerco che esiste ma, allora, lavoriamo sul problema specifico non dando percentuali o inventandosi strane categorie valoriali. Vogliamo che le classi siano eterogenee con bambini e bambine di ogni cultura e religione? Dico al ministro Valditara di adoperarsi per lo sdoppiamento delle classi allora, riducendo il numero di alunni così da non avere certe percentuali ed evitare che si creino i “ghetti”. Mescoliamo, facciamolo anche nella secondaria di secondo grado. In alcuni istituti professionali la percentuale di alunni di origine straniera è di oltre l’80%, nei licei classici non supera il 10%. Mescoliamo, mischiamo. Creiamo le condizioni affinché anche al liceo vadano gli alunni di origine straniera e rendiamo più attrattivi i professionali anche per i coetanei di origine “italianissima”. Ribadisco che l’incontro tra culture è una ricchezza per la nostra scuola.

Ha esempi concreti a riguardo?

Ho centinaia, se non migliaia, di aneddoti a riguardo. L’ultimo in ordine di tempo me lo ha raccontato una maestra di Trento l’altro giorno. L’insegnante voleva spiegare il concetto di “negoziare” ai suoi e alle sue bambine di quarta primaria. La classe però non sembrava riuscire a comprendere quel verbo ma, a un certo punto, è intervenuto l’alunno di origine marocchina che ha “tradotto” il negoziare con il “contrattare” raccontando come per la sua cultura di provenienza saper negoziare e contrattare un prezzo sia fondamentale per acquistare un paio di scarpe o un chilo di frutta. Ne è nata una discussione che ha permesso a tutto il resto del gruppo classe di capire il concetto. Questo è l’utilizzo pedagogico didattico di una differenza che diventa una risorsa per tutti. L’abitudine a stare insieme anche tra “diversi” è una palestra di democrazia: il modo migliore per attuare la Costituzione.

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