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«I violenti assecondati per fermare l’opposizione»

«I violenti assecondati per fermare l’opposizione»La facciata del municipio di Almaty come si presentava ieri, dopo la rivolta – Ap

Kazakhstan Intervista a Dimash Alzhanov, attivista della società civile del gruppo “Oyan Qazaqstan”

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 12 gennaio 2022

Dimash Alzhanov (1984), rappresenta la generazione post-sovietica del Kazakhstan. Politologo formatosi in Gran Bretagna (LSE), ha lavorato presso organizzazioni internazionali ed è attivista civile quale coordinatore di progetti legislativi per la riforma del sistema elettorale e nell’ambito del movimento politico “Oyan Qazaqstan” (“Sveglia Kazakhstan!”).

Cos’è accaduto in Kazakhstan la scorsa settimana?
Per noi dell’opposizione era chiaro che lo status quo politico post-Nazarbayev avrebbe inevitabilmente condotto ad uno scoppio di conflitto sociale. La società restava esclusa dal potere mentre le risorse nazionali continuavano ad essere un appannaggio della sola élite. Era solo una questione di tempo. Il raddoppio dei prezzi del gas ha effettivamente acceso la protesta. Questo è avvenuto in seguito al passaggio ad un meccanismo di definizione automatizzato che non contemplava i precedenti sussidi. Il governo, incoscientemente, non aveva previsto simili reazioni.

Come hai vissuto gli eventi in qualità di partecipante alle proteste ad Almaty?
Dall’Ovest, l’onda delle proteste si è allargata alle altre città. Il 4 gennaio, ad Almaty si sono spontaneamente formati diversi gruppi di manifestanti, che la Polizia ha cercato di bloccare in modo arbitrario effettuando fermi. A metà giornata, un nucleo di almeno 5000 persone si è radunato nel centro città, anche per prevenire ulteriori arresti. Da qui siamo partiti in corteo, ordinatamente, raccogliendo ulteriori partecipanti, fino a divenire almeno 15.000. A quel punto, la Polizia ci ha attaccato con proiettili di gomma, lacrimogeni e granate stordenti. Questi scontri sono proseguiti per tutta la notte. Il giorno successivo ci siamo svegliati con un battage di notizie che riportava lo sfondamento dei cordoni di polizia posti intorno ai palazzi del potere dell’ex-capitale. Abbiamo assistito a come le forze dell’ordine cedevano il passo a gruppi organizzati ed armati che assaltavano sistematicamente tutti gli edifici pubblici, ospedali inclusi. Gli schermi riportavano le strade in fiamme.

Quale la tua interpretazione degli avvenimenti?
La protesta civile prendeva forza e si organizzava avanzando proteste politiche troppo scomode per il governo. L’interesse di quest’ultimo era quindi che la violenza dominasse la percezione degli eventi in corso. Quindi, il potere ha creato un contesto di anarchia in cui si sono inseriti gruppi criminali. Nella capitale economica del paese sono presenti masse diseredate di sottoproletari che sono stati automaticamente risucchiati nei disordini. Costoro sono stati dotati di armi ed altri materiali – vi sono numerosi video che lo provano ed alcuni miei compagni hanno assistito a scene di distribuzione delle armi ai teppisti, da veicoli senza targa. Dopo le distruzioni nel centro di Almaty, i gruppi di facinorosi si sono spostati all’aeroporto internazionale, anche abbandonato dalle forze di sicurezza. Il centro ha poi orchestrato il coro mediatico intorno ad un messaggio che cancellava le ragioni degli oppositori per sottolineare solo banditismo e terrorismo in modo da procedere alla loro repressione. L’insistenza su elementi jihadisti radicali è stata parte di questa messinscena.

Sembri confermare l’esistenza di una strategia della tensione dietro la dinamica caotica degli eventi, solo, al di fuori del contesto di una lotta di clan contro Tokayev…
Si, l’élite è rimasta compatta. A un certo punto si sono resi conto che dopo aver favorito la violenza non sarebbero stati in grado di mantenere il controllo delle piazze. Allora Tokayev ha dichiarato che il paese era sotto attacco del «terrorismo internazionale» ed ha chiamato in causa la Russia tramite l’alleanza Csto. Del pari, il vertice ha compreso che sarebbe stato impossibile mantenere il potere se il clan Nazarbayev fosse rimasto associato ad esso. Di conseguenza, i dignitari più in vista sono stati evacuati dal paese, ma nel quadro di precisi accordi in cui le teste cadevano solo in apparenza. La versione della lotta di clan quale motore degli scontri è stata alimentata dall’interno poiché strumentale per consolidare la ristrutturazione dell’apparato intorno alla figura di Tokayev. Quest’ultimo si trova ora a che fare con una società spaventata e sotto shock a cui non verrà in mente di contestare il perdurante carattere autoritario del sistema politico kazakistano. Dunque la situazione è pessima. In questa fase di consolidamento di un nuovo regime ci aspettiamo ulteriori repressioni dei gruppi di opposizione scomodi. Inoltre, non vi sono figure nazionali di leader alternativi, meno che mai Ablyazov, da anni fuori dai giochi.

E il contesto internazionale?

Nonostante molte speculazioni, il quadro internazionale ha influito solo marginalmente. La richiesta di supporto alla Russia è risultata dalla dinamica degli eventi, ex-post quando il potere ha percepito di essere al limite delle proprie forze. Tuttavia, se il contesto geopolitico di confronto russo-americano non ha influito a priori, al contrario, vi saranno delle conseguenze di rilievo sugli equilibri strategici regionali. La Csto ad esempio, finora una cornice vuota, è divenuto un attore operativo nel confronto strategico all’interno dell’ex-Urss. Ed in tale confronto, il Kazakistan, che tradizionalmente ha goduto di un margine di manovra rispetto alle mosse della Russia si verrà a trovare in stretta dipendenza dalla volontà di Mosca.

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