Cultura

I videogiochi? Sono pezzi da museo

Incontri Un'intervista a Torino con Paola Antonelli, curatrice del dipartimento dedicato al design al MoMa di New York. «Stiamo perdendo il primato nel settore. Ci manca la sensibilità digitale e quella bio»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 16 marzo 2016
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Paola Antonelli

«A me l’arte non interessa. Il mio obiettivo è il design». Paola Antonelli è la curatrice del dipartimento design del MoMa di New York: la incontriamo a Torino, a Casa Jasmina, uno spazio inserito nel multimedialissimo Toolbox Coworking, hub creativo che sarà sede del prossimo Share Festival, rassegna di arte digitale, elettronica e dei nuovi dispositivi elettronici che si terrà dal 18 al 28 maggio.
È in Italia per selezionare, insieme al resto della giuria di cui fa parte anche Samantha Cristoforetti, le opere che entreranno in rassegna. Antonelli è molto conosciuta anche per essere stata la prima studiosa ad aver introdotto nella collezione permanente del museo una selezione di videogame, una scheda Arduino e innovativi oggetti stampati in 3D.

Una scelta che all’inizio fu aspramente criticata dai media, in particolare dal Guardian, ma della quale non si è mai pentita: «Si trattò di un giudizio fuori luogo, mi vergognai per chi l’aveva scritto. Si sosteneva lì che i videogiochi non potessero competere con ’Picasso’. Sono certa che Picasso, ai suoi tempi, fosse considerato come lo sono attualmente i videogiochi. Oggi sono riconosciuti dalla maggior parte dell’opinione pubblica come una forma di arte e design molto importante per il mondo contemporaneo. Rappresentano anche un metodo di insegnamento, una modalità utile alla diplomazia e, in campo medico, servono per trattare persone colpite da ictus. È evidente a tutti, ma alcuni si arroccano su una definizione di arte che ha ancora a che fare con i dipinti a olio appesi ai muri. Difendono la fine di un’epoca. Reagisco in maniera antagonista rispetto a questo argomento, perché ritengo che ci sia uno squilibrio ingiustificabile. Considero il design molto più difficile dell’arte: un designer, alla fine, deve sottomettersi anche alla prova del nove della realtà».

Dell’Italia non rimpiange nulla e non per spocchia o rivalsa. Antonelli ha avuto la fortuna di arrivare dove si trova grazie al duro lavoro e alla capacità di surfare con grazia sulle onde della vita e delle possibilità che le si sono poste innanzi, «si possono vivere diecimila esistenze differenti, ne sono certa». Da italiana, comunque, le dispiace constatare che anche nel campo che lei ama e difende il suo paese, inesorabilmente, stia perdendo colpi.

Il primato italiano del design è in pericolo. Non si investe nella maniera giusta. «La promozione è ancora legata esclusivamente ai settori di mobili e moda – spiega Paola Antonelli – Non ci si occupa per nulla invece di comunicazione, di design digitale, di visualizzazione. E, soprattutto, non ci si occupa dei designer più giovani! Si parla sempre dei soliti nomi e i giovani talentuosi, come Gloria Lupi ad esempio, sono costretti a fuggire a New York o altrove, dove ovviamente lavorano con successo. Ciò significa che la cultura italiana, che sempre ha potuto contare su una favolosa dimestichezza con il design, non si sta aggiornando. È un atteggiamento rischioso. Lo stesso Salone del Mobile di Milano dovrebbe ampliarsi, diventare una settimana del design e abbracciare altre forme come il bio design, quello digitale etc, in modo da mantenere e consolidare questo nostro primato. Se però non avverrà in breve tempo un cambiamento di rotta, ci saranno altre città che si faranno avanti. Ad oggi non esiste un vero e proprio festival del design che unisca tutti i lavoratori del settore».

Anche nel suo ambiente, rileva ancora la curatrice, è sempre esistito un riflesso di inutile e offensivo maschilismo. «Nei musei, gli uomini delle generazioni passate sono abituati a gestire così il loro potere. Il mondo però sta cambiando in maniera fluida, mi riferisco anche alla questione dei genders e al fatto che non esistono più solo gli uomini e le donne. E questo è molto interessante. Saranno tutti costretti a cambiare. E, probabilmente, peggioreranno prima di diventare migliori».

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