I vestiti nuovi dell’imperatrice
In scena La giovane leader «senza padroni e che non guarda in faccia a nessuno», allergica fino a ieri all’ipocrisia del politichese, ha dimostrato che per restare al centro della scena è pronta a imparare a menadito anche le regole più usurate del gioco
In scena La giovane leader «senza padroni e che non guarda in faccia a nessuno», allergica fino a ieri all’ipocrisia del politichese, ha dimostrato che per restare al centro della scena è pronta a imparare a menadito anche le regole più usurate del gioco
Si narra che Giorgia Meloni, ripresasi dal fastidioso malessere fisico che l’ha colpita sotto le feste, abbia trascorso gli ultimi giorni in una full immersion con i suoi collaboratori per arrivare il più preparata possibile alla conferenza stampa di fine anno, slittata all’inizio di quello nuovo non per sua volontà. E bisogna ammettere che, sebbene a causa di questo slittamento si siano aggiunte alla mole già imponente di argomenti sul tappeto altre spinosissime questioni come il caso Pozzolo e il richiamo di Mattarella sulle direttive Ue in tema di concorrenza, il risultato è stato piuttosto brillante.
È vero, l’esordio della premier è apparso un po’ zoppicante, si è lasciata subito andare alla sua irrefrenabile tentazione di attaccare a freddo l’opposizione (in particolare chi aveva dubitato dei suoi malanni) quando avrebbe potuto elegantemente sorvolare. Ma poi l’underdog dell’estrema destra cresciuta ai bordi di periferia (periferia politica), la giovane leader «senza padroni e che non guarda in faccia a nessuno», allergica fino a ieri all’ipocrisia del politichese, ha dimostrato che per restare al centro della scena è pronta a imparare a menadito anche le regole più usurate del gioco.
Ha risposto alla maggior parte delle domande con affermazioni tanto perentorie quanto vaghe (ad esempio sulla direttiva Ue) senza temere di contraddirsi da sola. Si è sbilanciata vistosamente (voterà per la nuova commissione di Bruxelles anche se dovesse farlo insieme ai socialisti) sostenendo che manterrà la barra ben salda a destra. Ha sparato cifre e classifiche a caso e si è esibita, senza temere paragoni con illustri predecessori della prima o della seconda repubblica, anche nell’arte della prestidigitazione, fingendo di cantarle addirittura alle banche: altro che retromarcia sulla tassa sugli extraprofitti… Ha ribadito a muso duro di non essere ricattabile, rifiutandosi di denunciare apertamente coloro che a suo dire vorrebbero ricattarla.
Certo, con quest’ultimo argomento è andata parecchio oltre il repertorio dei classici e in effetti può ancora migliorare, ma sia chiaro: ce la metterà tutta, a tutti i costi. Nemici ma anche amici sono avvisati: «Intendo essere rigida» perché «non sono disposta a fare questa vita, con la responsabilità che ho sulle spalle, se le persone che ho attorno a me non capiscono quella responsabilità». Fuori Pozzolo con le sue pistole. Dentro tutti gli altri che magari non vanno alle feste armati ma che come Pozzolo inneggiano a Mussolini, finché non danno troppo nell’occhio. No al trasformismo, sì alla mimetizzazione.
Il vestito nuovo dell’imperatrice però non riesce a coprire quello vecchio. I soliti tic puntellano le tre ore slalom con i giornalisti. La metafora (che poi tanto metafora non è) della Rai finora «occupata» dalla sinistra e nella quale la premier prometteva in campagna elettorale di riportare il famoso «merito» è esemplare: «Ricordo le edizioni del tg in cui la presenza di Fdi al 4% veniva coperta nelle ore notturne. Stiamo riequilibrando». E così ora importanti direttori della tv pubblica, alla luce del sole e non con il favore delle tenebre, possono tranquillamente dichiararsi militanti di Fdi durante le iniziative politiche della stessa Fdi. Adesso, insomma, tocca a noi: nelle aziende pubbliche, nelle istituzioni culturali, nelle partecipate (senza doverci necessariamente piazzare una sorella).
Non è un semplice spoils system, nemmeno una banale occupazione di poltrone, ma un tentativo di rivincita sulla storia. La stessa Meloni non lo nasconde, quando parla del premierato: «Non sarà un referendum su di me, ma sul futuro della nazione».
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