Sono circa 500 milioni le piccole fattorie del mondo che, secondo la Fao, forniscono la parte sostanziale di cibo di cui ci nutriamo: «Abbiamo bisogno dell’agricoltura famigliare per garantire la sicurezza alimentare globale; per proteggere l’ambiente e mettere fine alla povertà, alla denutrizione e alla malnutrizione», afferma l’organizzazione delle Nazioni Unite.

Sfruttando le risorse del territorio, la comunità contadina svolge una funzione di presidio sempre più importante in luoghi di cui ha una forte conoscenza, contribuendo a prevedere e arginare gli effetti dei cambiamenti climatici e a fermare lo spopolamento.

Eppure, sebbene sia ormai universalmente riconosciuta l’importanza di un’agricoltura su piccola scala, basata su una conoscenza antica e conservativa, che rispetta i cicli naturali e non ha bisogno di input esterni, come importante deterrente al degrado ambientale e socio economico, nella pratica questa stenta ad essere sostenuta a livello istituzionale.

Se guardiamo la realtà dell’Italia, ad esempio, vediamo come i produttori con meno di un ettaro, che compongono circa il 30% delle aziende attive nel nostro paese, siano negli ultimi decenni drasticamente diminuiti. Questo è avvenuto a causa dell’accentramento dei terreni nelle mani dei grandi proprietari (con conseguente limitato accesso alla terra per i piccoli), nonché da politiche locali e comunitarie fortemente influenzate dall’andamento dei mercati e pensate per salvaguardare la grande produzione e l’esportazione.

È in questo panorama che, a partire da un gruppo di piccoli e medi produttori che non si sentono rappresentati dalle grandi organizzazioni sindacali agricole e proprio per dare voce alle esigenze specifiche dell’agricoltura famigliare e contadina, è nata l’Associazione rurale italiana (Ari), sorta di sindacato informale in difesa dei diritti di contadini e braccianti, basato sull’idea di sostenibilità e mutualismo.
«Non ci riconosciamo nell’agricoltura industriale, non ideologicamente, ma perché noi produciamo in un altro modo» spiega Antonio Onorati, rappresentante di Ari Lazio e membro del Centro Internazionale Crocevia, che continua: «L’attuale legislazione estende le stesse regole utili ai grandi produttori a tutto il comparto agricolo italiano, e questo per noi è inaccettabile. Noi chiediamo un sistema normativo che non ci spinga all’illegalità e che riconosca il nostro modo di produrre: sostenibile, decentrato e libero dall’uso di pesticidi e ogm».

SONO LE ISTANZE ESPRESSE nella Campagna per l’agricoltura contadina – ora in fase di rielaborazione in vista della sua presentazione in Parlamento – che l’associazione sta portando avanti insieme ad altre realtà della società civile italiana, come la cooperativa calabrese Sos Rosarno, da tempo impegnata nella tutela dei diritti dei braccianti.

«Il nostro obiettivo», racconta Fabrizio Garbarino, uno dei fondatori di Ari, «è assicurare ai contadini un reddito sufficiente per una vita dignitosa e allo stesso tempo per poter offrire al proprio territorio cibo di qualità a un prezzo ragionevole, che sia accessibile all’esodato, al precario, a tutti». Sono contenuti che l’associazione condivide con i due sindacati agricoli di base europei, la Confederation Paysanne francese e la Coordinadora de Organizaciones de Agricultores y Ganaderos (Coag) della Spagna, formalmente riconosciuti e che quindi hanno la possibilità di sedere ai tavoli delle trattative.

Con loro, grazie al coordinamento europeo di Via Campesina, l’Associazione rurale italiana sta portando avanti la sua lotta a livello internazionale, a dimostrazione di quanto le politiche colpiscano i contadini in maniera simile al di là dei confini geografici.

NE È UN ESEMPIO la nuova Politica agricola comunitaria, Pac 2021-2027, di cui sono stati presentati recentemente i testi legislativi. Qui, nonostante le affermazioni espresse dalla Commissione Europea, secondo cui «i contadini dell’Unione europea sono anche i principali attori ambientali, dato che si prendono cura delle risorse naturali di suolo, acqua, aria e biodiversità nel 48% delle terre comunitarie», si conferma uno sbilanciato incentivo a favore dell’agricoltura convenzionale, invasiva e di sfruttamento, la cui differenza principale con quella contadina risiede nel concepire il prodotto agricolo come una commodity e non come un bene per la comunità.

LO SCORSO MAGGIO Ari si è recata al Parlamento europeo insieme a Via Campesina e a un gruppo di 130 piccoli agricoltori di diversi Paesi, per fare pressione su un trattato ancora in via di approvazione.

E se, grazie anche all’intervento nel tempo dell’organizzazione, la nuova Pac presenta dei piccoli passi in avanti, come l’abbattimento del tetto massimo degli aiuti per le singole aziende a 60 mila euro, che permetterebbe una più equa ripartizione di quello che è il secondo budget della Ue (dopo quello per la crescita economica), la sua linea generale non fa ben sperare.

Essa prevede infatti il taglio di circa il 17% dei fondi destinati all’agricoltura, cosa che secondo il coordinamento penalizzerà sia la produzione di qualità che il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti in sede europea. Questa misura, unita alla presenza di un mercato sempre più orientato verso la deregolamentazione, come dimostrano trattati quali il Ttip e il Ceta, non farà che incoraggiare la volatilità dei prezzi e le crisi finanziarie, da cui il piccolo produttore potrà difficilmente difendersi.

Siamo ancora lontani, quindi, dalla riforma agraria auspicata dai contadini ed è per questo che Ari e Via Campesina stanno mettendo in campo nuove iniziative affinché venga riconosciuto quel diritto fondamentale dei popoli di procurarsi alimenti sani a prezzi accessibili, che chiamiamo sovranità alimentare.