Politica

I venti giorni dell’Italicum

I venti giorni dell’ItalicumLa ministra delle riforme Maria Elena Boschi – lapresse

Riforme Strada in salita per la legge elettorale in prima commissione alla camera. Il confronto comincia dopo pasqua. Deciso il relatore (e il Pd ne vuole subito un altro), Renzi è in minoranza ma non vuole cambiare niente

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 1 aprile 2015

ROMA
È un berlusconiano prudente ma ormai decisamente dissidente, in rotta con il Cavaliere per seguire la scia del corregionale Raffaele Fitto, il presidente della commissione affari costituzionali della camera Francesco Paolo Sisto che ieri si è ri-assegnato l’incarico di relatore della nuova legge elettorale. E così il Pd non si sente sufficientemente garantito e rivendica una seconda posizione di correlatore, che andrebbe a uno di quei deputati democratici della commissione saldamente renziani (come Emanuele Fiano), una minoranza nel gruppo dei commissari.
All’andata, oltre un anno fa, agli esordi del patto del Nazareno, Sisto bastò e avanzò ai democratici; anzi fu lui a inventarsi il blitz serale e la votazione «in corsa» che tra le proteste e l’occupazione dell’aula dei 5 Stelle spinsero avanti l’Italicum nella sua prima versione, quella che rifiutava ogni proposta di modifica. Quattordici mesi sono passati e la legge è cambiata non poco – rigorosamente nell’accordo a due Renzi-Berlusconi – ma l’esigenza di fare presto è ancora la stessa. E le premesse per un altro blitz già si intravedono, ora che l’ufficio di presidenza della prima commissione ha fissato per l’8 aprile l’avvio dei lavori sulla legge elettorale. Renzi, nella consueta veste di arbitro dei tempi del parlamento, ha chiarito che la legge deve arrivare in aula entro il 27 aprile, condizione indispensabile per sperare di approvarla prima della sospensione dei lavori per le elezioni regionali (fine maggio). Ma i sostenitori dell’Italicum sono in netta minoranza tra i commissari, anche il gruppo del Pd è in prevalenza composto da bersaniani. Non è gente interessata ad andare di corsa. A meno che il presidente del Consiglio non immagini di ripetere quello che ha fatto al senato, quando ha fatto sostituire in commissione il «dissidente» senatore Chiti. È però improbabile, sarebbe una forzatura molto grande ma poco produttiva, visto che per riequilibrare i numeri a suo favore il segretario Pd dovrebbe cambiare assai più di un deputato. «Certo che ce la faremo per il 27 aprile – assicura Sisto -, con me non ci sono problemi, a costo di far lavorare la commissione notte su notte». Anche se poi ammette che «il testo che ci ha mandato il senato è completamente diverso da quello che avevamo approvato in prima lettura un anno fa». I 5 Stelle chiedono che il relatore aggiuntivo sia assegnato a loro, per una ragione molto semplice: «Il Pd non può farlo perché vincolato dal voto di ieri nella direzione, secondo il quale non si deve cambiare niente della legge», spiega il deputato Toninelli.
Il giorno dopo la direzione, continuano gli scontri a distanza tra gli esponenti della minoranza Pd che dichiarano di avviarsi al voto contrario e le guardie del renzismo. È ancora il bersaniano D’Attorre a definire «una pistola scarica» la minaccia di Renzi di andare a elezioni anticipate nel caso l’Italicum fosse bocciato: «Non tornerebbe mai più a palazzo Chigi e si troverebbe un parlamento eletto con il Consultellum e le preferenze dove il 99% dei renziani non rimetterebbe piede». È intanto si fanno i conti su quanti potrebbero essere i voti contrari della pattuglia bersaniana, in teoria titolare di una rappresentanza ancora vasta – oltre cento deputati – ma in pratica divisa in tre tra diversamente renziani, dialoganti e resistenti. «Vedremo quanti saremo nella riunione del gruppo che ci sarà dopo pasqua», dice Stefano Fassina. È la riunione tra deputati che lo stesso segretario ha annunciato lunedì. «Stiamo discutendo di un intervento di rilievo costituzionale che costituisce un arretramento della nostra democrazia, ciascuno si assumerà le proprie responsabilità», aggiunge confermando per il momento il suo no il deputato ex viceministro del governo Letta che a novembre guidò la carica dei contrari al Jobs act. Quelli che alla fine non arrivarono a quaranta.

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