La guerra in Ucraina sta mettendo in evidenza quanto siano fragili gli equilibri che reggono l’agricoltura italiana ed europea. Il settore agricolo, che sta già pagando il prezzo più alto a causa dei cambiamenti climatici, si trova a fronteggiare le conseguenze di un conflitto che va ad incidere sull’approvvigionamento di materie prime ed energia.

LA NUOVA POLITICA AGRICOLA comune (Pac), che entrerà in vigore nel gennaio 2023, deve fare i conti la guerra. La Commissione europea ha approvato in questi giorni un piano anti-crisi per limitare i danni, mentre i governi nazionali stanno varando misure straordinarie per sostenere il settore agricolo. Ma ogni paese della UE ha le proprie specificità, con forti differenziazioni produttive.

QUELLO CHE SI RISCONTRA è la dipendenza dell’Italia non solo per l’energia, ma anche per quanto riguarda cereali, mangimi, fertilizzanti. In particolare, importiamo dall’estero il 47% del mais necessario per l’allevamento, il 65% del grano tenero per la panificazione, il 35% del grano duro per la pasta. Una situazione legata ai cambiamenti nell’uso dei suoli.

NEGLI ULTIMI 25 ANNI IN ITALIA è stato abbandonato il 28% della superficie coltivabile e anche se è aumentata la resa per ettaro la produzione cerealicola italiana è drasticamente diminuita. Non c’è stata una politica agricola che incentivasse e rendesse stabile la produzione. Molti agricoltori di fronte agli elevati costi e alla bassa remunerazione hanno rinunciato a produrre grano e mais. Le industrie di trasformazione e i mangimifici si sono rivolti all’estero per soddisfare la domanda, godendo di prezzi più bassi. Sembrava si fosse raggiunto un certo equilibrio nel commercio dei cerali. Il conflitto in corso ha rimesso tutto in discussione. Anche se attualmente non si registra una minore disponibilità di cereali, la speculazione finanziaria ha determinato una impennata delle quotazioni. L’aumento dei costi energetici e il rischio approvvigionamento dei concimi chimici hanno prodotto ulteriori apprensioni. Si sta correndo ai ripari.

PER LA PRIMA VOLTA LA UE HA DECISO di utilizzare la «riserva di crisi» della Pac, mettendo a disposizione dei paesi membri 500 milioni di euro per il sostegno delle aziende agricole in difficoltà. La quota spettante all’Italia è di 50 milioni. Le misure di sostegno varate dal governo italiano per il settore agricolo comprendono aiuti diretti alle aziende più colpite, concessione di crediti d’imposta sull’acquisto di carburante, possibilità di rinegoziare i mutui agrari. Il decreto «salva filiere» ha stanziato 1,2 miliardi euro per investimenti nei vari comparti dell’agricoltura. Ma c’è una decisione presa dalla Commissione europea che ha sollevato grandi perplessità, anche se è stata accolta con favore da gran parte del mondo agricolo: la possibilità di coltivare a seminativo anche i terreni messi a riposo.

SI TRATTA DI UNA DEROGA AGLI OBBLIGHI imposti dalla Pac non priva di conseguenze per il clima e la biodiversità. Una decisione che è in contraddizione con la strategia Farm to fork (dal campo alla tavola) che mira a favorire le produzioni agricole sostenibili e un sistema alimentare sano. Il Commissario per l’agricoltura della Ue ha indicato in 4 milioni di ettari le nuove aree da destinare a seminativi. Per l’Italia sarebbero 200 mila gli ettari in più per ricavare una produzione aggiuntiva di 15 milioni di quintali di mais, grano duro e grano tenero. E’ subito partita in ogni regione la ricerca di nuove superfici da coltivare. Secondo la Coldiretti, i nuovi terreni si troverebbero in Emilia Romagna (20 mila ha), Piemonte (17.500 ha), Veneto (12 mila ha), Lombardia (11 mila ha), Campania (10.500 ha). Se si utilizzassero i terreni incolti, si potrebbe arrivare nel medio periodo a un milione di ettari in più che andrebbero ad aggiungersi ai 12 milioni di ettari già coltivati. Ma in che misura si potrà realizzare questo obiettivo? Che agricoltura si affermerà? Quali saranno gli equilibri tra agricoltura convenzionale e biologica?

C’E’ DA DIRE CHE UNA PARTE di queste aree ha subito nel corso del tempo gravi processi di erosione e perdita di fertilità. Il loro ripristino può avvenire solo attraverso un elevato investimento di capitali. Viene invocato il Pnrr come lo strumento che può consentire di affrontare il problema. Va sottolineato, inoltre, che le nuove superfici sono destinate alla coltivazione di mais per far fronte alla domanda di mangimi negli allevamenti. In queste settimane partono le semine del mais e le aziende che praticano una agricoltura intensiva potranno utilizzare anche le aree di interesse ecologico (Efa, Ecological focus area), impiegando fertilizzanti chimici e pesticidi.

LE AREE DI INTERESSE ecologico, di cui fanno parte i terreni a riposo, sono state introdotte con fatica a partire dal 2015 e rese obbligatorie per le aziende che hanno una superficie a seminativo superiore a 15 ettari. Queste aziende hanno l’obbligo di destinare il 5% della superficie ad area protetta. Solo se viene rispettata questa condizione si ha diritto al pagamento dei contributi agricoli da parte della Ue. A questo tipo di sussidio viene destinato il 30% dei contributi agricoli. Lo scopo è quello di incidere sulle grandi aziende che hanno l’impatto maggiore su clima e biodiversità e che hanno resistito all’introduzione di regole sulla rotazione delle colture. Sono, infatti, escluse le aziende inferiori ai 15 ettari e quelle bio. Ora, a causa della guerra, vi è la sospensione delle aree di interesse ecologico.

LA POLITICA AGRICOLA COMUNE viene piegata agli interessi dell’agroindustria, che difende l’attuale modello di produzione e consumo e mette la produttività al centro di tutto, costi quel che costi. La guerra in Ucraina viene vista come l’occasione per cancellare le piccole conquiste in campo agricolo e ambientale.