I sussidi che rovinano l’ambiente
Modelli di sviluppo L’Italia spende quasi 20 miliardi all’anno per finanziare attività ecologicamente dannose. La gran parte dei finanziamenti vanno ai combustibili fossili
Modelli di sviluppo L’Italia spende quasi 20 miliardi all’anno per finanziare attività ecologicamente dannose. La gran parte dei finanziamenti vanno ai combustibili fossili
La seconda edizione del Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli è arrivata con più di un anno di ritardo, ma l’attesa non ha portato buone notizie: secondo le stime elaborate dal ministero dell’Ambiente lo Stato spende in un solo anno 19,3 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (Sad) – di cui 16,8 miliardi di euro individuati come sussidi ai combustibili fossili – a fronte dei 15,2 miliardi di euro dedicati ai sussidi ambientalmente favorevoli (Saf).
Significa che, al di là di tutta la retorica sullo sviluppo sostenibile, i soldi continuano ad andare in direzione ostinatamente contraria: l’Italia spende 4,1 miliardi di euro in più all’anno per sostenere attività dannose per l’ambiente di quanto non stanzi in sussidi volti a ridurre l’impatto ambientale della nostra economia. Non solo, si tratta di un quadro in peggioramento. I numeri appena riportati appartengono all’edizione 2018 (con dati 2017) del Catalogo, quando quella precedente mostrava un divario più contenuto: l’edizione 2017 (con dati 2016) documentava infatti spese italiane in misure dannose per l’ambiente pari a 16,16 miliardi di euro, comunque superiori a quelle per interventi ambientalmente favorevoli (15,67 miliardi di euro/anno).
A completare il puzzle manca l’ultimo report, ovvero la terza edizione del Catalogo, con dati 2018: come stabilito per legge dall’art. 68, L. n. 221/2015 avrebbe dovuto arrivare entro il 30 giugno scorso, ma non c’è n’è ancora traccia.
«Seppur con molto ritardo, abbiamo finalmente a disposizione il secondo Catalogo preparato dal ministero dell’Ambiente – commenta il vicepresidente di Kyoto Club, Francesco Ferrante – L’ordine di grandezza della quantità dei sussidi ambientalmente dannosi e in particolare di quelli destinati a sostenere i fossili era peraltro già nota e non c’è stata alcuna sorpresa Ora però davvero non ci sono più scuse: è venuto il momento delle scelte politiche. Si sa tutto, si tratta di muoversi con decisione e fermezza verso un’economia low carbon, che seppur con la gradualità e l’attenzione necessaria alle sue implicazioni sociali, preveda la riduzione e infine l’eliminazione di tutti questi sussidi in modo da liberare risorse per detassare il lavoro e le imprese e sostenere davvero un’economia innovativa, circolare e densa di futuro».
A guadagnarci sarebbe non solo l’ambiente e dunque la nostra vivibilità, ma l’intero sistema economico del Paese. A certificarlo è un’analisi elaborata dal ministero dell’Ambiente all’interno del Catalogo, in cui si esamina cosa succederebbe se decidessimo di indirizzare ad altro i 16,8 miliardi di euro l’anno destinati a sussidiare i combustibili fossili.
Sono tre le alternative prese a riferimento nello studio del ministero: nello scenario A la rimozione delle sovvenzioni comporta solo una riduzione della spesa pubblica; nello scenario B le entrate derivanti dalla rimozione sono ripartite per aumentare gli attuali risparmi di bilancio, sovvenzionare le fonti rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica del settore industriale; nello scenario C i proventi sono invece destinati a ridurre il cosiddetto cuneo fiscale del lavoro “qualificato”.
«In tutti gli scenari – spiega il ministro dell’Ambiente – le emissioni si riducono in modo significativo a causa della riduzione (scenario A) o ristrutturazione (scenari B e C) della spesa pubblica. Per quanto riguarda gli effetti sul Pil, i risultati differiscono tra gli scenari. Nel primo scenario A, osserviamo una riduzione del Pil bassa ma significativa di -0,58% mentre negli scenari B e C dove i risparmi di bilancio sono riciclati per favorire i risultati dell’attività economica si registra un aumento del Pil dello 0,82% e 1,60% rispettivamente. Tra i settori, l’offerta di energia e i settori dei trasporti mostrano le maggiori riduzioni della produzione. Al contrario, il settore delle energie rinnovabili aumenta significativamente in tutti e tre gli scenari: rispettivamente dell’1,1%, del 22,9% e dello 0,3%. I settori dei servizi e dell’industria aumentano lievemente solo negli scenari B e C rispettivamente dello 0,6% e 1,2% e dello 0,7% e del 2,2%. Per gli stessi scenari, i risultati mostrano anche un impatto positivo sull’occupazione che aumenta del 2,3% e del 4,2%».
In altre parole, secondo le stime dello stesso Governo togliere i sussidi attualmente destinati ai combustibili fossili permetterebbe al Paese di guadagnarci sotto il profilo ambientale, quello sociale e quello economico. In tutti e tre gli scenari sarebbe possibile ridurre in modo significativo le emissioni di gas serra (del -2,13% nello scenario A, del -2,68% nel B, del -0,88% nel C), permettere una crescita del Pil fino al +1,60% – ovvero quasi il doppio di quella effettivamente conseguita dall’Italia nel 2018, e 16 volte tanto quella stimata dalla Commissione Ue per il nostro Paese nell’anno in corso (+0,1%) – e di spingere l’occupazione fino al +4,2%. Peccato che il Governo non ascolti neanche se stesso: di tutto questo non c’è traccia nelle politiche portate avanti negli ultimi 14 mesi dalla maggioranza M5S-Lega.
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