«I sovranisti crescono poco ma mettono radici nella crisi sociale»
Nuove destre Nel nuovo parlamento europeo gli eletti delle formazioni sovraniste e dell’estrema destra, ancora divisi in tre gruppi, raggiungeranno quota 172 (erano 154 nel 2014). Ma, per Gilles Ivaldi, ricercatore dell’università di Nizza, e Sylvain Crépon, docente all’Università di Tours - tra i maggiori studiosi europei del fenomeno -, la vera sfida riguarda il radicamento di queste forze tra i ceti popolari e gli operai
Nuove destre Nel nuovo parlamento europeo gli eletti delle formazioni sovraniste e dell’estrema destra, ancora divisi in tre gruppi, raggiungeranno quota 172 (erano 154 nel 2014). Ma, per Gilles Ivaldi, ricercatore dell’università di Nizza, e Sylvain Crépon, docente all’Università di Tours - tra i maggiori studiosi europei del fenomeno -, la vera sfida riguarda il radicamento di queste forze tra i ceti popolari e gli operai
Dal punto di vista dei numeri la crescita c’è stata, anche se non ha raggiunto le proporzioni annunciate alla vigilia del voto. Nel prossimo parlamento europeo gli eletti delle formazioni sovraniste e dell’estrema destra, per il momento ancora divisi in tre gruppi, raggiungeranno quota 172 (contro i 175 dei popolari e i 148 dei socialisti), mentre erano 154 nel 2014. Aumenta anche il numero di movimenti e partiti coinvolti, passati da 36 a 48. Ma se l’«onda nera» si è almeno parzialmente placata, con diverse significative eccezioni a partire dal nostro paese, gli studiosi invitano ad osservare con attenzione i risultati delle elezioni che contengono in ogni caso diversi insegnamenti.
«LA CRESCITA DI QUESTE FORZE non ha raggiunto le proporzioni che si temevano, ma non si deve sottovalutare il fatto che pur non guadagando consensi si stanno radicando in molti territori, specie quelli più toccati dalla crisi economica», spiega Gilles Ivaldi, ricercatore dell’università di Nizza. Per l’autore di De Le Pen à Trump: le défi populiste (Université de Bruxelles), «la vera sfida è però rappresentata ora dalla loro capacità di costruire alleanze, sia nei diversi paesi che all’interno dello stesso parlamento europeo che li vede ancora divisi in più gruppi».
Anche per il sociologo Sylvain Crépon, docente all’Università di Tours e membro dell’Osservatorio delle radicalità politiche della Fondazione Jean-Jaurès, il progressivo radicamento sociale «dentro la crisi» delle nuove destre è il dato più significativo uscito dalle urne. Crépon, tra gli autori di Les faux-semblants du Front national (Presses de Sciences Po) – radiografia sociale dell’estrema destra francese -, mette ad esempio in evidenza come il Rassemblement national di Marine Le Pen, primo partito transalpino, abbia raggiunto questo risultato anche grazie al voto operaio: 40% dei consensi lepenisti provengono infatti dalle tute blu e dalle loro famiglie.
«Certo – sottolinea Crépon – si tratta spesso di voti che già in passato si erano indirizzati verso la destra e l’estrema destra, solo il 4% di costoro aveva sostenuto in precedenza La france insoumise di Jean-Luc Mélenchon e il 2 % il movimento dell’ex socialista Benoît Hamon, ma resta comunque la costante progressione lepenista nel mondo operaio». Dato a cui si aggiunge lo «sfondamento» nelle periferie urbane.
NELLA BANLIEUE DI PARIGI, il Rn, che ottiene abitualmente i suoi migliori risultati nei piccoli centri o in provincia, arriva per la prima volta in testa in zone come Aulnay-sous-Bois, Sevran, Villepinte ou Livry-Gargan, nella Seine-Saint-Denis o a Orly e Villeneuve-Saint-Georges, nella Val-de-Marne, un tempo roccaforti rosse, dove, spiega Crépon, «di fronte alle famiglie di origine immigrate che hanno smesso di votare la sinistra e si sono rifugiate nell’astensione, i “piccoli bianchi” si mobilitano in favore di Le Pen. Come se la questione razziale stesse rimpiazzando quella sociale».
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