Sembra incredibile, ma la nuova legge di contrasto al caporalato e al lavoro nero in agricoltura non è ancora stata approvata. Tanti buoni propositi nei mesi scorsi, soprattutto ricordando le tragiche morti che hanno funestato l’estate del 2015, ma dopo l’ok del Senato, incassato prima della pausa estiva, a questo punto non sappiamo quando il ddl 2217 avrà anche quello definitivo della Camera. I sindacati ieri hanno incontrato la presidente della Camera Laura Boldrini nel suo ufficio a Montecitorio, particolarmente sensibile al tema tanto che più volte – sia a Roma che nelle campagne meridionali – ha incontrato i braccianti, soprattutto donne, sia italiane che immigrate. Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil hanno sollecitato la messa in esame del provvedimento, e la presidente – «compatibilmente con quelli che sono i regolamenti parlamentari», ha tenuto a precisare – si è impegnata a non mollare la presa sul tema.

«Si metta fine a questa vergogna – ha dichiarato Boldrini al termine dell’incontro con i sindacati – Ci sono lavoratori sfruttati per 10-12 ore, pagati 20 o 22 euro, con condizioni disumane. E ci sono ancora tanti ghetti dove sono costretti a vivere tanti immigrati senza alcuna garanzia e senza il rispetto delle condizioni minime di dignità: dobbiamo fare in modo che situazioni simili non esistano più in Italia». Una parte della soluzione, secondo la presidente della Camera, «è sicuramente il provvedimento in discussione, apprezzato prima di tutto dalle persone che lavorano e dai sindacati: perché evidentemente il reato di caporalato non bastava, e adesso bisogna responsabilizzare e sanzionare le aziende che sfruttano i braccianti. Perché ci sono aziende regolari, che assumono applicando i contratti e rispettando i dipendenti, ma ci sono anche aziende che violano i diritti minimi».

Secondo Stefano Mantegazza, segretario generale della Uila Uil, che ha parlato a nome delle tre sigle di categoria, «il testo della legge in discussione è condivisibile ma serve un’approvazione veloce». «Ci auguriamo un iter rapido della legge, perché la campagna di raccolta estiva è passata con la stessa normativa di sempre e quindi con le stesse condizioni di sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici».

Luigi Sbarra, segretario Fai Cisl, chiama «tutti i gruppi parlamentari alla compattezza per centrare l’obiettivo». Ivana Galli, segretaria Flai Cgil, sottolinea che «nelle campagne c’è un assoluto bisogno dei nuovi strumenti che la legge può assicurare». Tra l’altro una settimana fa i sindacati avevano denunciato la non applicazione del Protocollo firmato in maggio da parti sociali e istituzioni, per il fatto che il governo non aveva ancora erogato i fondi promessi. Allarme che era stato fatto proprio dal presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano.

Secondo l’ultimo Rapporto Agromafie e Caporalato, elaborato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, a essere vittime del caporalato sono indistamente italiani e stranieri, circa 430 mila persone nel nostro Paese, peraltro in crescita (di circa 30/50 mila unità) rispetto a quanto stimato nel rapporto precedente. Più di 100 mila lavoratori vivono in condizione di grave sfruttamento e vulnerabilità alloggiativa.

Le agromafie e il caporalato muovono insieme, in Italia, un’economia illegale e sommersa che ha un valore che si aggira tra i 14 e i 17,5 miliardi di euro. Le mafie hanno diversi settori di interesse: si va dall’import-export oltreoceano dei nostri prodotti agroalimentari, alla contraffazione (quella agroalimentare costituisce il 16% del totale con un business da un miliardo di euro) di pane, vino, macellazione e pesca, solo per citare i comparti più esposti. Molto colpita anche la logistica, del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dei mercati ortofrutticoli e dei diversi passaggi che caratterizzano la filiera.

Da nord a sud, poi, si rilevano fenomeni di sofisticazione legati all’Italian sounding, così come il nuovo intreccio tra agromafie e energie rinnovabili. Una spia dell’interesse delle mafie ispetto al settore agricolo è testimoniata dal fatto che quasi il 50% dei beni sequestrati o confiscati a queste organizzazioni sono proprio terreni agricoli (30.526 sul totale di 68.194 nel 2015).