«Com’è il caso dei veri violentatori, lo stupro segnala l’impotenza dell’aggressore». Il filosofo Slavoj Zizek, citando una battuta di Putin (rivolto al governo ucraino accusato di non voler rispettare gli accordi di Minsk aveva detto: “Che ti piaccia o no è il tuo dovere, bella mia!”), ha evocato nei giorni scorsi sul “Fatto” l’immagine dello stupro. La violenza brutale che il capo della Russia esercita contro l’Ucraina, e sempre di più anche contro il suo popolo quando osa pronunciare parole veritiere (“guerra, invasione…”) parlerebbe della sua debolezza.
Slavoj Zizek accomuna – questo sarà certamente meno condiviso da molti – anche gli Usa e il loro attuale capo Joe Biden nel ruolo di un personaggio maschile che ha perso il vigore di una volta, come ha detto la disastrosa ritirata dall’Afghanistan, e come dicono i gravi rischi che corre la democrazia americana insidiata da una ideologia inquietante come il trumpismo, al quale rischia di reagire una posizione “democratica” tradizionalmente incline alle avventure belliche.
“Grandi impotenze”, ha titolato questo giornale. Ma non vuol dire che i pericoli per il mondo siano minori. Proprio “tigri di carta” paurose di esserlo possono essere le più aggressive. Spesso non condivido i giudizi di Zizek. Ma questa metafora non mi sembra arbitraria. Attorno all’invasione dell’Ucraina monta un diffuso “bisogno del nemico”: già emerso in modo leggermente paranoico a proposito del virus del Covid19 (a proposito, che fine ha fatto?) ora esplode appuntandosi sul corpo mostrificato del dittatore russo, nuovo Zar e nuovo Hitler, e su tutti coloro che lo seguono o non si oppongono apertamente. Fossero pure un inerme direttore d’orchestra, o chi – come il segretario della Cgil Landini, e decine di migliaia di persone che hanno manifestato con lui, me compreso – osa dissentire dalla decisione di mandare armi in Ucraina.
Cioè di rispondere alla guerra con la guerra, sia pure non maneggiandole direttamente. Si è giunti a falsificazioni grossolane di quanto è stato detto sabato in piazza S.Giovanni. Dall’accusa di “terzietà” a quella di intelligenza con il nemico il passo è breve.
Non posso fare a meno di mettere in relazione questa pericolosa passione con quella che, non da ora, mi sembra una crisi generalizzata dell’autorità maschile. Chiamiamola pure crisi del patriarcato. Fronteggiare finalmente un “vero” nemico è un modo per ridarsi la forza smarrita?
La guerra espone immediatamente i corpi e i sessi. Oggi si ragiona (e si litiga) molto sulle nuove libertà – e possibilità chimico-chirurgiche oltre che psicologiche e legali – di decidere del proprio sesso, si opta per il “gender fluid”. Le immagini che vengono dall’Ucraina parlano un’altra lingua. Ho letto che Zelensky aveva a un certo punto chiamato a arruolarsi in massa uomini e donne, con minime eccezioni per le femmine incinte o appena divenute mamme. C’è stata una resistenza femminile e il governo ucraino ha dovuto desistere. Abbiamo poi visto i treni carichi di donne, bambini e maschi anziani in fuga. I maschi non anziani hanno dovuto restare a combattere. Che lo volessero o no.
Oggi è l’8 marzo e le manifestazioni e incontri indetti in moltissime città da Non una di meno e da tanti altri gruppi femminili e femministi si caricano di un messaggio di pace.
Ma non ci sarà vera pace e giustizia finchè non cambierà la mentalità di noi uomini. Provarci, constatando il venir meno di un antico modo virile di concepire la forza e l’equivoco delle guerre “giuste”, potrebbe essere l’occasione di questo momento storico drammatico. (Non fu un uomo adorato – quanto sinceramente? – nel nostro occidente a dire: “amate i vostri nemici”?)
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