Quando controlli i semi controlli la vita sulla Terra. Vi siete mai chiesti cos’è il seme? Il seme è la materia prima più preziosa. È materia viva. Senza semi non si possono coltivare i raccolti, quindi ne abbiamo bisogno per qualsiasi coltivazione.

Il seme non è solo la fonte della vita. È il fondamento stesso del nostro essere. Per milioni di anni, il seme si è evoluto liberamente, per darci la diversità e la ricchezza della vita sul pianeta. Per migliaia di anni gli agricoltori, soprattutto le donne, si sono evoluti e hanno allevato le sementi in collaborazione con la natura, per aumentare ulteriormente la diversità naturale e adattarla alle esigenze delle diverse culture. Biodiversità e diversità culturale si sono plasmate a vicenda. Oggi la libertà di evoluzione della natura e della cultura sono minacciate in modo violento e diretto. La minaccia alla libertà dei semi ha un impatto sul tessuto stesso della vita umana e del pianeta.

I semi sono il primo anello della catena alimentare e il deposito dell’evoluzione futura della vita. Come tali, è nostro dovere e responsabilità proteggerli e consegnarli alle generazioni future. La coltivazione delle sementi e il loro libero scambio tra gli agricoltori sono alla base del mantenimento della biodiversità e della nostra sicurezza alimentare.

HO DATO VITA A NAVDANYA per proteggere la diversità delle sementi e i diritti degli agricoltori a custodire, coltivare e scambiare liberamente i semi, nel contesto delle minacce emergenti dell’Accordo TRIPS (Agreement on trade-related aspects of intellectual property rights) dell’Organizzazione mondiale del commercio, che ha aperto le porte all’introduzione degli Ogm, ai brevetti sulle sementi e alla riscossione di royalties. Era il 1994 e le multinazionali avevano ben chiara la questione: il loro problema era che non riuscivano a vendere abbastanza semi perché gli agricoltori li conservavano. Così hanno trovato una soluzione! L’introduzione di brevetti e diritti di proprietà intellettuale sulle sementi, rendendo illegale per gli agricoltori la loro conservazione.

Il seme da bene comune è diventato una merce delle aziende sementiere private. Come tragica conseguenza, negli ultimi anni, abbiamo assistito a una rapidissima erosione della diversità e della sovranità delle sementi e a una rapida concentrazione del controllo su quest’ultime da parte di un numero molto ristretto di gigantesche aziende.

I RISULTATI DI QUESTO PROCESSO sono evidenti e preoccupanti. Le superfici coltivate a mais, soia, colza e cotone geneticamente modificati sono aumentate vertiginosamente. Oltre che a distruggere la diversità, le sementi Ogm brevettate stanno anche minando la sovranità dei semi, ovvero il diritto degli agricoltori di selezionare, custodire e scambiare i propri semi. Nei paesi di tutto il mondo si stanno introducendo nuove leggi sulle sementi che ne impongono la registrazione obbligatoria, rendendo così impossibile per i piccoli agricoltori coltivare la propria diversità e costringendoli a dipendere da gigantesche multinazionali.

LA CONTAMINAZIONE GENETICA si sta diffondendo; l’India ha perso i suoi semi di cotone a causa della contaminazione del cotone Bt. Il Messico, culla storica del mais, ha perso l’80% delle sue varietà. E questi sono solo due casi di perdita del patrimonio sementiero locale e nazionale. Dopo la contaminazione, le multinazionali dei semi biotecnologici citano in giudizio gli agricoltori con cause per violazione di proprietà intellettuale. Con l’erosione della disponibilità di sementi degli agricoltori e la loro dipendenza da quelle Ogm brevettate, il risultato è l’indebitamento. Il debito creato dal cotone Bt in India ha spinto moltissimi agricoltori al suicidio.
L’approccio scientifico riduzionista e meccanicistico ha sostenuto un quadro giuridico per la privatizzazione delle sementi. Le varietà contadine sono state chiamate razze terrestri, cultivar primitive. Sono state ridotte a una miniera genetica da saccheggiare, estrarre e brevettare. La negazione dei diritti degli agricoltori non solo è ingiusta per loro, ma lo è anche per la società nel suo complesso.

L’agricoltura industriale si è basata su strategie per vendere più prodotti chimici, produrre più merci e ottenere maggiori profitti. Le varietà ad alto rendimento (HYV) della rivoluzione verde erano in realtà varietà selezionate per rispondere alle sostanze chimiche. Gli ibridi sono progettati per costringere l’agricoltore ad andare sul mercato ogni stagione, poiché non si riproducono fedelmente. La resa, che si concentra sul peso di un singolo prodotto, è una misura inappropriata.

LA QUANTITÀ SENZA LA QUALITÀ non fornisce nutrimento. Partendo dal falso presupposto che le varietà degli agricoltori sono vuote, l’agricoltura industriale ci fornisce semi e colture che non solo sono vuote dal punto di vista nutrizionale, ma anche cariche di tossine. La monocultura industriale e il cibo spazzatura si rafforzano a vicenda rovinando la terra e la nostra salute.

Il privilegio dell’uniformità rispetto alla diversità, della quantità rispetto alla qualità della nutrizione, ha degradato le nostre diete e ridotto la ricca biodiversità dei nostri alimenti e delle nostre colture. La monocoltura industriale ha creato un confine legale per privare gli agricoltori della libertà e della sovranità delle sementi e per imporre leggi ingiuste atte a stabilire il monopolio aziendale su di esse. Un confine falso che esclude l’intelligenza e la creatività della natura e degli agricoltori.

Che si tratti di diritti di riproduzione imposti attraverso l’UPOV 91, o di brevetti sui semi, o di leggi sui semi che richiedono la registrazione obbligatoria e la concessione di licenze, un arsenale di strumenti legali viene inventato e imposto in modo antidemocratico per criminalizzare la riproduzione, la conservazione e la condivisione dei semi da parte degli agricoltori.

Ogni seme è l’incarnazione di millenni di evoluzione della natura e di secoli di selezione degli agricoltori. È l’espressione distillata dell’intelligenza della Terra e delle comunità agricole. Gli agricoltori hanno allevato i semi per la diversità, la resilienza, il gusto, la nutrizione, la salute e l’adattamento agli ecosistemi locali. L’agricoltura industriale non tiene conto dei contributi della natura e degli agricoltori.

Estratto dal libro autobiografico «La vita è maestra. La mia storia di rivoluzione», di Vandana Shiva a cura di Manlio Masucci e Cinzia Chitra Piloni, Piemme 2023