Protesto perché conosco di Serena Tarabini
Protesto perché conosco di Serena Tarabini
ExtraTerrestre

I saperi e la resistenza nel conflitto contro il gasdotto in Salento (Tap)

Lotte ambientali sociali Protesto perché conosco di Serena Tarabini (Lettera 22, euro 16,50)
Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 14 novembre 2024

Si fa presto a mettere a tacere le battaglie per la giustizia ambientale tacciandole di essere frutto della sindrome Nimby. Il Not in My Back Yard, ovvero «non nel mio cortile», rientra tra le accuse che nella storia delle proteste per la tutela dei territori vengono mosse contro gli attivisti, per ridimensionare la portata delle loro ragioni a mera difesa localistica a fronte di un presunto progresso. Ma è davvero così?

LA RISPOSTA ARRIVA da un caso oggetto di studio da parte della giornalista e ricercatrice Serena Tarabini, che nel libro Protesto perché conosco. I saperi nella resistenza al Tap in Salento, edito da LetteraVentidue, dimostra – attraverso un’impostazione accademica da specialista dell’Ecologia politica – come vi sia, di fatto, una dimensione epistemica dei conflitti ambientali. Il caso di studio su cui ha indagato Tarabini è la protesta contro il Tap, acronimo di Trans Adriatic Pipeline, l’ultimo tratto del megagasdotto attualmente in funzione, proveniente dall’Azerbaigian e costruito a Melendugno (Lecce).

Una protesta lunga, che ha raggiunto dal punto di vista mediatico l’apice dell’attenzione nel 2017-2018, con le immagini delle manifestazioni in cui era presente anche l’allora primo cittadino Marco Potì in fascia tricolore, insieme agli attivisti, nelle campagne salentine, In quegli anni Melendugno (10 mila abitanti circa, includendo le marine) venne letteralmente presidiata dalle forze dell’ordine. Ottocento agenti circa. Vaste aree del territorio vennero recintate. Fu istituita una zona rossa.

LA CRONACA DI ALLORA oggi è ancora oggetto di processi. Da un lato quelli contro gli attivisti, multati per migliaia di euro, in buona parte si sono conclusi in primo grado con condanne. Dall’altro quello contro il consorzio Tap e i suoi vertici, per inquinamento ambientale, contaminazione della falda acquifera ed espianto degli ulivi fuori dal periodo autorizzato, è ancora in corso con ripetute battute di arresto perché frequentemente cambia il giudice titolare.

SECONDO LA MAGISTRATURA le autorizzazioni ambientali sulla base delle quali l’opera è stata costruita sarebbero illegittime. Non si sa nulla invece dell’esito delle indagini relative alle denunce sporte dai cittadini, che avrebbero subito gravi violenze da parte delle forze dell’ordine durante le proteste.

OGGI L’OPERA È IN FUNZIONE e si vorrebbe anche aumentarne la portata. Il dissenso resta e, nonostante i tentativi di stigmatizzazione e banalizzazione delle ragioni della protesta, quella del Movimento No Tap – Serena Tarabini in Protesto perché conosco lo conferma – è stata ed è una mobilitazione territoriale da inquadrare nel concetto di giustizia ambientale. Non c’è in questo caso solo il mio cortile, c’è il Pianeta, ci sono «le grandi tematiche socio ecologiche globali, quali i danni provocati dallo sfruttamento intensivo delle risorse, l’emergenza climatica, le epidemie e tutte le forme di discriminazione, esclusione ed oppressione che ne derivano».

IL SALENTO – SECONDO L’AUTRICE – rientra nel novero delle «zone di sacrificio», dove «il fronte compatto ed insindacabile del progresso che avanza sostenuto da un mastodontico apparato tecnico-scientifico, proprio nei piccoli territori, trova gli ostacoli che ne mostrano le crepe, anche grazie a un carsico lavoro locale di contro produzione di conoscenze che fanno riferimento a un diverso sistema di valori».

PRATICHE, SAPERI, CULTURE, visioni che hanno concorso alla produzione di conoscenze sulla base delle quali si è strutturata la protesta. Tarabini arriva così a inquadrare la battaglia per la giustizia ambientale come uno scontro di conoscenze, in cui l’ambiente si colloca all’interno di un più ampio contesto che è quello politico. E se per un verso non è possibile inquadrare un movimento globale per la giustizia ambientale, per l’altro la resistenza al Tap – caratterizzata da «passione e competenza» – si colloca tra quei «focolai localizzati di processi di cambiamento necessari a livello globale». Una via di uscita possibile dalla monolitica «visione di società e natura capitaliste».

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