I salari non crescono quanto l’inflazione, colpiti i più poveri
Rapporto Oil E’ da tempo che, dopo tanti anni di calma, ci si domanda a che cosa sia dovuta la crescita dei prezzi nell’ultimo periodo nei paesi occidentali, fenomeno certo meno rilevante nel continente asiatico
Rapporto Oil E’ da tempo che, dopo tanti anni di calma, ci si domanda a che cosa sia dovuta la crescita dei prezzi nell’ultimo periodo nei paesi occidentali, fenomeno certo meno rilevante nel continente asiatico
E’ plausibile che tra i temi della mobilitazione sindacale nei paesi occidentali nell’anno corrente ci sarà quello del recupero dei salari di fronte alla forte crescita dell’inflazione. Nel 2021 si è registrato un aumento dei prezzi al consumo del 7,0% negli Stati Uniti, del 5,0% nella Ue e “soltanto” del 4,2% nel nostro paese. Intanto sia le famiglie che le imprese sono da noi in trepida attesa della bolletta della luce, mentre riempire i frigo dei ristoranti costa in queste settimane il 20-30% più di prima.
E’ da tempo che, dopo tanti anni di calma, ci si domanda a che cosa sia dovuta la crescita dei prezzi nell’ultimo periodo nei paesi occidentali, fenomeno certo meno rilevante nel continente asiatico. Tra le cause vengono elencati l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, il forte incremento della domanda dopo la precedente ondata del covid, a fronte della quale le imprese hanno manifestato delle rigidità, anche per i problemi logistici che frenano il flusso delle merci tra Asia e Occidente, ovviamente infine i danni del covid.
Negli Usa si fa più riferimento alla logistica, alla domanda molto forte e improvvisa di beni di consumo (i politici democratici citano anche gli eccessivi profitti dei grandi gruppi), mentre in Europa si accusano soprattutto i prezzi dell’energia.
I governi e le agenzie internazionali sono stati colti alla sprovvista (ma forse qualcuno ha solo tenuto nascosto i dati), avendo stimato che il fenomeno sarebbe stato di breve durata, mentre ora si valuta che riguarderà tutto il 2022, anche se si spera che esso rallenterà nel secondo semestre. Si manifesta un conflitto all’interno della Bce, con la maggioranza dei membri del consiglio che parla di una durata breve – anche se l’istituto prevede per l’eurozona un +3,2% per il 2022-, mentre il presidente della banca centrale tedesca appare più pessimista; la Lagarde non vuole in ogni caso aumentare i tassi di interesse, al contrario del teutonico; comme d’habitude.
E’ comunque importante sottolineare come l’inflazione non tocchi tutti allo stesso modo. Mancano i dati su come essa riguardi i diversi gruppi sociali, ma si sa che si tratta di una cosa che fa male soprattutto ai più poveri; avanza minaccioso, a tale riguardo, l’aumento nel mondo dei prezzi dei generi alimentari. Ovviamente, l’inflazione impatta fortemente il mondo del lavoro.
Qualche giorno fa la Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto sulle prospettive dell’economia mentre la Oxfam ha fatto il punto sull’andamento della povertà e delle diseguaglianze nel mondo. Di tali documenti il manifesto ha dato notizia con rilievo. Intanto è stata pubblicata anche l’annuale analisi dell’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) in sintonia con le due precedenti.
Nella previsione di un cammino lento ed incerto verso la ripresa, Oil rivede al ribasso le stime sul mercato del lavoro nel 2022 calcolando una perdita di ore lavorate a livello globale equivalente a 52 milioni di posti di lavoro a tempo pieno rispetto al quarto trimestre 2019, nonostante un qualche miglioramento nei confronti del 2021.
Il rapporto sottolinea poi come la ripresa del lavoro sia maggiore nei paesi ricchi e più debole negli altri, le difficoltà saranno poi più grandi per le donne e per i giovani; ancora comme d’habitude. Il direttore dell’Oil fa anche riferimento, come la stessa Oxfam, ad un aumento allarmante di povertà e disuguaglianze. Sottolinea come anche nel nostro paese la ripresa del mercato del lavoro appaia incerta. Incidentalmente, una recente analisi nell’ambito del nostro ministero del lavoro suggerisce che già prima dello scoppio della pandemia la percentuale dei lavoratori poveri era superiore al 22% del totale.
In Germania il sindacato dell’edilizia, la IG Bau, ha chiesto aumenti di salario del 5,3%. Si registrano mobilitazioni sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, agevolate dalla carenza di lavoratori in alcuni settori e si registrano degli aumenti salariali soprattutto nei settori meno pagati. In Giappone il primo ministro ha promesso sgravi fiscali alle imprese che li aumenteranno. Ma nella sostanza, almeno per il momento, al di là di qualche episodio pur importante, i salari non stanno crescendo quanto l’inflazione. Nella Ue per il momento poco si sta muovendo. Eppure, come suggerisce un articolo del Guardian di questi giorni, “se non ora, quando”? Da segnalare comunque che, per far fronte alla situazione, diversi governi europei stanno programmando degli incrementi del salario minimo. Ma tale strumento da solo proteggerà in qualche modo soltanto una parte di quelli che si trovano nelle condizioni peggiori.
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