Politica

I saggi tornano alla bicamerale

Riforme Consegnato a Letta il lavoro dei 33 professori. E' un testo aperto, che contiene proposte della commissione del '97 e una rassegna del dibattito degli ultimi 30 anni. La preferenza del ministro è per il premierato

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 18 settembre 2013

«Il governo del primo ministro è l’ipotesi che ha il consenso più largo dentro la commissione». Sembra Gaetano Quagliariello ieri sera, invece è Massimo D’Alema nel maggio 1997. La commissione del «saggi» di nomina governativa, in campo da luglio per preparare le riforme costituzionali, è arrivata alla stessa mediazione con la quale D’Alema tentò – invano – di condurre in porto la bicamerale. Non era impossibile prevederlo. Tra saggi a favore del presidenzialismo (13 di loro firmano «un’opinione dissenziente») e saggi affezionati alla forma di governo parlamentare, «è emersa una proposta di governo parlamentare del primo ministro – questo è Quagliariello – sulla quale sono confluiti componenti che avevano scelto l’una o l’altra ipotesi».

La «relazione al presidente del Consiglio» messa a punto dai 35 professori (diventati 33 dopo le dimissioni di Carlassare e Urbinati) più sette relatori è una rassegna del dibattito sulle riforme che va avanti da anni, almeno trenta. Pochi i punti condivisi, all’unanimità o «quasi all’unanimità». La riduzione del numero dei parlamentari, ad esempio. Ma mentre prevale l’ipotesi di trasformare il senato in una camera delle regioni (o delle regioni e dei comuni?), c’è chi preferirebbe cancellare del tutto la seconda camera. Tutti d’accordo che bisogna «superare il bicameralismo paritario», sul come ci si divide. Senatori eletti direttamente dai cittadini o dai consigli regionali? E, nel secondo caso, all’interno dei consiglio o all’esterno? Anche per quanto riguarda il procedimento legislativo, secondo alcuni bisognerebbe introdurre una nuova categoria di leggi per così dire «semi costituzionali», chiamate «leggi organiche» destinate a regolare gli aspetti principali del sistema istituzionale e affidate per l’approvazione solo alla camera. Per altri questa sarebbe un’inutile complicazione.

Ma i dissensi più forti ci sono sulla forma di governo. Tra (semi)presidenzialisti convinti e parlamentaristi ostinati si può dire che l’unica intesa cordiale è stata sul fatto che tutti e due sono modelli «coerenti con i principi delle democrazie occidentali». Un po’ poco. Da qui la necessità per Quagliariello – e per Luciano Violante che si è ritagliato un ruolo in principio non previsto di «saggio tra i saggi», o meglio «coordinatore dei relatori», e ieri è stato ricevuto da Letta con il ministro – di spingere una terza via. Cioè il «governo del primo ministro»; quello che nel ’97 si chiamava «premierato forte». L’elezione diretta del presidente del Consiglio che in definitiva, osserva pragmatico il ministro, c’è già da quando Berlusconi ha introdotto il nome sul simbolo elettorale. E poi il potere di revoca dei ministri (anche questo secondo molti costituzionalisti c’è già ed è anche già stato esercitato) e due altre «novità», anche queste risalenti alla bicamerale: la possibilità di fissare una data per la votazione di disegni di legge del governo e la sfiducia costruttiva. Per il premier qualcuno vorrebbe anche un potere ben più robusto, quello di scioglimento delle camera. Ma anche su questo i saggi sono divisi.

Nel rispetto delle opinioni discordi, il ministro precisa che la relazione non propone alcun modello, ma offre al parlamento argomenti di riflessione. Violante è un po’ meno prudente e definisce il premierato «l’asse centrale» del lavoro dei saggi, al quale ancora la sua proposta di legge elettorale a doppio turno di coalizione (che prima che sua era stata del professor D’Alimonte). Ma anche sulla legge elettorale non c’è convergenza di vedute: nella relazione si passano in rassegna praticamente tutte le alternative al Porcellum, dal doppio turno di collegio ai modelli tedesco e spagnolo. Viene allora da chiedere, qual è stata l’utilità della commissione governativa di professori, visto che in materia di riforme costituzionali tutte le proposte, con tanto di ipotesi principali e subordinate, erano già in campo da anni, approfondite sia in dottrina che nel dibattito pubblico? Quagliariello risponde che siamo in tempi diversi, «in questi trent’anni è cambiato tutto» e «il dibattito doveva uscire fuori dal circuito degli addetti ai lavori». Forse per questo i «saggi di Francavilla» sono andati a tirare le somme in un albergo della marina abruzzese. Violante che «mai come questa volta si è prodotta una proposta coerente» e che «in ogni caso le commissioni parlamentari avrebbero impiegato mesi a fare le audizioni». Mesi che invece stanno passando per approvare la legge di «deroga» alla procedura di revisione costituzionale.

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