Visioni

I rituali travolgenti dei Tell No Lies

I rituali travolgenti dei Tell No LiesTell No Lies

Musica Convincente ritorno per il quintetto di stanza a Bologna al secondo disco in studio dal titolo «Anasyrma»

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 1 ottobre 2020

«Anasyrma è una parola greca e ha un significato meraviglioso: indica il gesto di sollevare la gonna e mostrare le parti intime; esiste in tantissime culture ed ha il potere di scacciare il demonio, la grandine, il male, i nemici e altra roba. Secondo me il nostro è un Anasyrma musicale, mostriamo aspetti della musica che altri nascondono e chiamano vergogne». Così Nicola Guazzaloca, pianista e leader dei Tell No Lies, quintetto di stanza a Bologna al secondo disco in studio, su Aut records. «Non so se scacceremo il demonio ma se è vero o verosimile che il blues deriva dall’espressione to have the blue devils allora ci siamo, o quantomeno scacceremo la grandine». Musica dunque come rituale apotropaico per raggiungere una condizione dell’essere più vicina alla natura che alla società, convocando a nozze pagane divinità selvatiche. Sette composizioni travolgenti: le fasi lunari dispari della splendida ed obliqua Moondays mettono subito in chiaro cosa ci aspetta: un tema a presa rapida, ammiccante ma privo di qualsiasi retorica, un groove che non lascia scampo (Luca Bernard al contrabbasso e Andrea Grillini alla batteria), gli arrangiamenti di fiati di Edoardo Marraffa (sopranino e tenore) e Filippo Orefice (soprano) per poi esplodere in un caos sorvegliato e potente, secondo la lezione dello storico catalogo BYG/Actuel. La melodia vagamente est europea di Scintilla, reiterata ad libitum, mentre intorno si scatena la tempesta, come un circo felliniano preso d’assalto da truppe ubriache di vandali improvvisatori, l’omaggio all’anarchico Zamboni di Anteo. Nemmeno un minuto suona di troppo, tutto gira alla grande: la scrittura di Guazzaloca è ispirata: «Quando scrivo, i brani nascono da soli, ed è come se attengessi ad un tesoro nascosto che non so bene dove sia, e meno male!»: ecco allora a chiudere Mokusha, che in gaelico significa «il mio tesoro».

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