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I rischi di una memoria postuma

I rischi di una memoria postuma

«Romanzo di una strage» Il regista Marco Tullio Giordana ha chiesto qualche giorno fa alla Rai,in una lettera sul Corriere della sera, di includere il suo film nella programmazione sul 50° anniversario di Piazza Fontana. Così sarà ma quel cinema invece di trasmettere un punto di vista in più ricostruisce a posteriori senza rendere conto della complessità del tempo e di ciò che era allora il nostro Paese

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 11 dicembre 2019

Giorni fa il regista Marco Tullio Giordana in una lettera pubblicata sul «Corriere della sera» ha chiesto alla Rai di mandare in onda nel palinsesto per il 50° anniversario della bomba di Piazza Fontana anche il suo film, Romanzo di una strage (2012). Quando uscì – scrive Giordana – «molti si sono sentiti punti sul vivo (neofascisti, anarchici, extraparlamentari, funzionari infedeli) ma nessuno ha potuto smentirlo. In compenso ha coinvolto tanti giovani ignari del nostro passato perché nessuno si prende la briga di raccontarglielo».

Nella corrispondenza pubblica, domenica scorsa, è intervenuto anche l’ad Rai Fabrizio Salini puntualizzando che Romanzo di una strage sarà tra i molti programmi Rai su Piazza Fontana – domani e il 13 dicembre – per «il contributo fondamentale dato alla conoscenza di quegli eventi».

È abbastanza strano che il quotidiano milanese si faccia portatore della necessità di programmare Romanzo di una strage visto che quando uscì proprio sulle colonne del «Corriere della sera« Corrado Stajano scriveva (in data 23 marzo 2012): «… Il film gioca di continuo, pericolosamente, tra realismo e finzione (…) I ragazzi che non sanno cosa sia successo nel pomeriggio di tanti anni fa in quella banca di Milano, vicina all’Arcivescovado, non avranno da questo film lumi per capire (…) Peccato, bisogna dirlo con amarezza, che in questo smisurato film un po’ asettico non si ritrovino né la passione né le emozioni di quegli anni infuocati».
La memoria a cui ci si appella così spesso, lo sappiamo, è labile, vacilla, confonde. Per questo preferiamo la storia, e la verità politica e storica è ben chiara, anche se per la strage del 12 dicembre 1969 non vi sono colpevoli sono documentati con precisione le responsabilità della destra neofascista veneta e i depistaggi e le complicità dei servizi segreti.

Questo però nel film di Giordana non c’è, ma sono molti i buchi a cominciare dall’immagine dell’Italia di quegli anni, con la sua resistenza a ciò che fu un tentativo di golpe, la tenacia in molte parti del Paese a cercare versioni diverse rispetto quelle ufficiali.

Tutto si svolge nei salotti del potere, nelle sedi dell’eversione e del complotto, l’unico frammento del quotidiano sono gli interni (speculari) delle case del commissario Luigi Calabresi, ucciso qualche anno dopo, nel 1972, e di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico fermato con l’accusa di avere messo la bomba che morì cadendo dalla finestra della questura di Milano mentre veniva interrogato dal Calabresi e dai suoi uomini. Nulla si dice dei silenzi e degli imbarazzi della questura di Milano di fronte ai giornalisti per questa morte né di Pietro Valpreda, divenuto poi il principale accusato, così come mai si riflette sulla strategia della tensione resa più un gioco di intrighi tra colonnelli greci, figuri loschi, spie e uomini dello stato doppiogiochisti – e anche la campagna contro Calabresi di «Lotta continua» è incomprensibile. Non si tratta di essere esaustivi ma di trovare un punto di vista che non sia solo postumo – il «rischio» della memoria – dunque altrettanto impigliato in quell’ideologia che all’epoca, parlando del suo film, Giordana diceva di aver voluto evitare.

Non solo. Con Rulli e Petraglia, autori della sceneggiatura, sono partiti dal libro assai ambiguo e poco fondato di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana (Ponte alle Grazie) sposando la sua contrastata tesi della doppia bomba – una degli anarchici poco più che un petardo, l’altra per fare vittime della destra – nella logica dei doppi estremismi, uno rosso, l’altro nero.
«Strage di stato» è l’indicazione del film di Giordana che diventa però un po’ tutto e niente così come quella «verità» di cui si vuole fare portatore. Per chi c’era – come gli autori – l’omissione più grave è certo quella di escludere un’Italia che non era solo un paese di bombe e tentativi di golpe (forse le stragi accadevano anche per questo), e non perché il cinema deve dare risposte ma al contrario perché dovrebbe interrogare, aprire diversi orizzonti, dire responsabilità taciute. Ci dice qualcosa Romanzo di una strage che non sappiamo? No, e anzi spesso confonde, affermando letture a posteriori come sempre accade per ciò che riguarda i passaggi complessi e traumatici nella nostra storia più recente e irrisolta.

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