I Rimedi contro l’Amore, manuale ovidiano del paradosso
Classici latini Per chi soffre le pene amorose, il poeta che fu precettore ora «si fa» egli stesso terapia... Nella Valla/Mondadori a cura di Victoria Rimell i "Rimedi contro l’amore", tra le opere meno esplorate del corpus ovidiano
Classici latini Per chi soffre le pene amorose, il poeta che fu precettore ora «si fa» egli stesso terapia... Nella Valla/Mondadori a cura di Victoria Rimell i "Rimedi contro l’amore", tra le opere meno esplorate del corpus ovidiano
«Amore aveva letto il titolo di questo piccolo libro: / “Vedo che mi si muove guerra”, disse». È un dialogo animato e ironico, intriso di retorica e riferimenti metaletterari, quello tra Cupido e Ovidio all’inizio dei Remedia Amoris (i Rimedi contro l’Amore). L’opera, multiforme e sfuggente, tra le meno esplorate del corpus ovidiano, è un manualetto in 814 versi (distici elegiaci) scritto dal poeta precettore a beneficio di donne e – soprattutto – di uomini che soffrono per le pene d’amore, ai quali offre soluzioni di volta in volta adatte alla situazione (evitare di innamorarsi, concentrarsi sui difetti, incontrare così tanto l’amata da farsela venire a noia, scappare, non frequentare i luoghi dei ricordi, frequentare un’altra donna).
In questi anni a cavallo del bimillenario della morte di Ovidio sono fiorite pubblicazioni sull’intera opera del poeta, mostre, conferenze internazionali che hanno ridato slancio alla ricerca e chiarito ulteriormente lo spessore di una poesia tra le più fortunate nelle epoche successive; questioni di grande rilievo critico hanno trovato una ridefinizione: sono stati valorizzati i debiti rispetto alla tradizione greca e il fitto dialogo con i precedenti romani; è stata posta l’attenzione sulle modalità, spesso ambigue, dietro cui si cela la tensione tra il poeta e il princeps; il peso della retorica nel tessuto argomentativo e nella dizione poetica – a lungo considerato un difetto della poesia ovidiana – è stato collocato in una prospettiva corretta. Naturalmente le edizioni e i commenti recenti hanno recepito questi risultati; ma gli ultimi lavori sui Remedia in Italia, i commenti di Caterina Lazzarini (Marsilio 1986) e Paola Pinotti (Pàtron 1988), sono fermi alla fine degli anni ottanta. Il volume curato da Victoria Rimell, con traduzione di Guido Paduano (Ovidio, Rimedi contro l’amore, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, pp. CXXXV-378, euro 50,00) colma, dunque, una lacuna pesante, ponendo contestualmente le basi per ulteriori lavori sul testo.
Rimell raccoglie la sfida posta dalla prima parola dell’opera, legerat, che, con un gioco metaletterario a cui Ovidio ricorre abitualmente soprattutto nelle sezioni incipitarie e finali, vuole rinviare al ruolo attivo dei lettori e a quello del poeta stesso nel reinterpretare i suoi testi. La studiosa britannica non si sottrae all’onere dell’interpretazione, e con coraggio e decisione scrive un commento elegante e meditato, che restituisce spessore al testo. Il quadro generale, presentato nell’introduzione e approfondito nelle diverse sezioni del commento, è costruito a partire da un lavoro rigoroso sulla struttura policentrica del componimento ed è supportato dall’equilibrata combinazione di analisi stilistico-formale e valorizzazione della fitta trama intertestuale.
Apprezzabile è l’interrelazione tra i diversi livelli di indagine. Un caso esemplare riguarda la definizione del genere letterario a cui i Remedia appartengono dichiaratamente e degli altri generi che vi trovano spazio. La poesia didascalica, richiamata a più riprese con segnali formali evidenti (come la presenza di tu seguito dall’imperativo: movenza, questa, già lucreziana), è messa continuamente in crisi dalla situazione costruita dal poeta, che rappresenta sé stesso a un tempo come precettore e come ‘medico malato’. L’empatia del maestro verso i suoi allievi, di cui comprende appieno la sofferenza, trasforma dall’interno il genere e lo fa convergere verso l’elegia amorosa.
In questa tensione tra elegia e poesia didascalica si inseriscono, poi, altri elementi: retorica, filosofia, temi propri della letteratura consolatoria. In particolare, numerosi sono i riferimenti ai testi tecnici della medicina, la cui rilevanza è in qualche modo promossa dal ruolo di Apollo, che sostituisce Cupido come divinità-guida ed è invocato in sezioni di rilievo come il secondo proemio ai vv. 75-76 e la coda finale dei vv. 811-814. Associata al canto, anch’esso governato dal dio Apollo, la medicina opera a un livello profondo della composizione: sul concetto-base per cui ogni cura è anche un veleno si sviluppa così una vera e propria poetica del paradosso, che finisce per coinvolgere il poeta stesso, che si autorappresenta prima come causa e ora come terapia del medesimo male d’amore: vv. 71-72 Naso legendus erat tum cum didicistis amare / idem nunc vobis Naso legendus erit («bisognava leggere Ovidio quando avete imparato ad amare, / lo stesso Ovidio bisognerà leggere ora»). Un distico, questo, che mostra molto bene l’abilità di Ovidio nel dominare la forma metrica, di cui sfrutta appieno le potenzialità espressive: come nota Rimell, l’oscillazione e le ondulazioni dell’esametro e del pentametro rispecchiano quelle tra piacere e dolore, tra salute e malattia, in una struttura che viene replicata a diversi livelli non solo all’interno dell’opera, ma anche – e questo è particolarmente interessante – nel dialogo che Ovidio stesso stabilisce tra le sue diverse opere.
Quello ovidiano va inteso come un corpus ‘in movimento’, dunque, al cui interno il ruolo dei Remedia viene ridefinito alla luce di una serrata indagine intertestuale che ne evidenzia gli intrecci raffinati. Tutt’altro che marginale, quest’opera – e in particolare il «proemio al mezzo» dei vv. 357-398 – funge da giuntura centrale, da perno attorno a cui sembra ruotare l’intera produzione ovidiana: il suo sguardo all’indietro, con le riprese e riflessioni sulla produzione erotica precedente, si combina con una altrettanto nitida proiezione in avanti – oltre i confini del genere letterario – nella direzione dell’epica.
Sono diversi i luoghi in cui il mito, nella cornice retorica dell’exemplum, viene trattato in un vero e proprio piccolo laboratorio epico che prepara alle Metamorfosi. Esemplare è Circe, capace di «mutare uomini in mille forme» ma incapace di persuadere Ulisse a restare con lei: e d’altra parte le sue trasformazioni, sempre reversibili, ben rappresentano la mutevolezza alla base del frequente insuccesso delle terapie proposte da Ovidio. Molte delle figure che fanno la loro comparsa nei Remedia provengono dalla tradizione omerica, che Ovidio rimodella con il tocco leggero della sua vena ironica: con grazia e irriverenza, le ‘citazioni’ si colorano di dettagli inesplorati e indimenticabili.
Accade così per Agamennone, sulla cui storia Ovidio torna ben due volte; la sua pretesa di ottenere Briseide in cambio di Criseide viene qui giustificata dall’idea che, in fondo, una donna vale l’altra, tanto più se «a parte la prima sillaba, il nome è lo stesso». La soluzione è servita ( v. 484): et posita est cura cura repulsa nova («e depose l’affanno scacciato da un nuovo affanno»). Chiodo scaccia chiodo, insomma, ma con la raffinatezza della lingua ovidiana: grazie al poliptoto (cura/cura) posto a cavallo dell’incisione centrale del verso, le due donne sono diventate ormai la stessa cosa, un ‘affanno’, differenziato solo dalla quantità dell’ultima sillaba, lunga nel primo caso e breve nel secondo. La parola scelta, cura, è un termine chiave dei Remedia: se gli amori possono anche essere interscambiabili, la natura delle esperienze – e quindi delle pene – è sempre diversa e così deve essere diversa la terapia per provare a guarire.
Guidato da Rimell, il lettore (ri)scopre un testo rilevante sul piano storico-letterario e capace di suscitare più di qualche sorriso di fronte a situazioni ancora attuali: scene di rabbia tramutata in passione all’udienza per il divorzio, lettere bruciate e immagini di cera dell’ex buttate via – oggi fotografie eliminate da instagram – per non alimentare il ricordo… Ma non mancano immagini controintuitive, evidenziate con delicatezza. In più punti l’amante sofferente è paragonato a una madre in lutto per la morte del figlio: il dolore più violento che si possa immaginare non si cura con i trucchi di un precettore, e bisogna arrendersi di fronte alla constatazione che «la medicina è un’arte del tempo». Anche su questo piano i Remedia, attorno a cui ruotano passato, presente e futuro, sono per Ovidio un laboratorio importante in direzione del tempo universale e maturo di Metamorfosi e Fasti.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento