I ribelli sciiti prendono Aden, truppe saudite pronte al confine
Yemen Gli Houthi in marcia verso sud: presi porto e aeroporto della capitale provvisoria con il sostegno dei fedelissimi di Saleh, il presidente Hadi in fuga. Dietro, lo spettro di uno scontro regionale tra Iran e Arabia Saudita
Yemen Gli Houthi in marcia verso sud: presi porto e aeroporto della capitale provvisoria con il sostegno dei fedelissimi di Saleh, il presidente Hadi in fuga. Dietro, lo spettro di uno scontro regionale tra Iran e Arabia Saudita
La marcia dei ribelli sciiti Houthi su Aden è cominciata, la città è prossima alla caduta. Dopo il fallimento del negoziato e la conseguente chiamata alle armi per rovesciare il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, il movimento ha lanciato ieri l’offensiva contro la capitale provvisoria del paese.
È alle battute finali la battaglia per lo Yemen, a cui potrebbe prendere parte l’esercito saudita, dispiegato al confine. Ieri i ribelli sciiti, che da settembre hanno assunto il controllo della capitale Sana’a, hanno arrestato il ministro della Difesa, Mahmud al-Subaihi, nella città di Houta. Nelle stesse ore aerei da guerra bombardavano il palazzo presidenziale di Aden, mentre forze governative passate con i ribelli e militari fedeli all’ex presidente Saleh prendevano il porto e l’aeroporto della città e esplosioni risuonavano nella base dell’esercito. Hadi è fuggito via mare nel pomeriggio, fanno sapere funzionari della sicurezza yemenita. Nessuno sa dove sarebbe diretto, ma la sua assenza lascia campo libero allo scontro tra Houthi, tribù sunnite e gruppi estremisti. E, forse, sauditi.
Su di lui pesa una taglia da 100mila dollari, messa sul tavolo dagli Houthi ormai intenzionati a porre fine alla guerra civile assumendo il potere. E occupando aree strategiche: nella marcia da nord, loro roccaforte, verso sud, gli sciiti hanno preso possesso di numerose comunità fino ad occupare ieri la base militare di Al-Annad, a 50 km da Aden, utilizzata dall’esercito Usa come piattaforma di lancio dei droni anti-al Qaeda. Dopo la presa di Al-Annad, gli Houthi sono tornati ad attaccare Houta: testimoni raccontano di corpi senza vita lungo le strade e del rumore continuo delle armi automatiche in molti quartieri.
All’avanzata sciita rispondono gli alleati del presidente Hadi: l’Arabia Saudita ha dispiegato l’artiglieria pesante lungo il confine con lo Yemen, il più povero del Golfo e per questo da decenni cortile di casa saudita. Riyadh e Washington la definiscono una mossa a fini solo difensivi. Ma la verità è che la petromonarchia, che non ha disdegnato in passato di intervenire per frenare le ribellioni sciite e soffocare le proteste popolari, non intende lasciare alcuno spazio di manovra al nemico Iran, accusato da più parti di guidare il colpo di Stato Houthi. Ora la probabilità di un’invasione via terra dello Yemen si fa sempre più concreta.
Ufficialmente l’Arabia Saudita ha fatto sapere di voler decidere un eventuale intervento oggi, durante il meeting della Lega Araba in Egitto, anticipato di un giorno per far fronte all’escalation delle violenze. Agli appelli regionali al dialogo, gli Houthi hanno risposto con un secco no, consapevoli che il tavolo sarebbe gestito dai sauditi a scapito delle richieste degli sciiti che altro non chiedevano che riforme democratiche e distribuzione del potere. E al no Houthi ha reagito il governo ufficiale che due giorni fa si era appellato alla comunità internazionale perché intervenisse in Yemen: prima al Consiglio di Sicurezza e poi al Consiglio di Cooperazione del Golfo, che si è detto disposto ad assumere «le misure necessarie».
Perché in Yemen a scontrarsi non sono solo gruppi avversari interni. In corso c’è una guerra per procura tra i due potenti assi regionali, lo sciita guidato da Teheran e il sunnita con a capo Riyadh: «Il rischio di frammentazione è elevatissimo perché i gruppi interessati sono numerosi e ognuno con una zona di influenza – spiega al manifesto l’analista yemenita Sama’a al Hamdani – Il nord non è del tutto sotto l’influenza iraniana, così come il sud non è interamente controllato dai sauditi. L’Iran sostiene i suoi alleati e l’Arabia Saudita fa lo stesso, seppur tale sostegno sia diverso. Per anni l’economia yemenita è sopravvissuta con l’aiuto finanziario di Riyadh, mentre l’intervento iraniano è più logistico».
«Il timore è che la frammentazione dello Yemen non seguirà i confini del 1990: accanto alla divisione nord-sud, ne esistono altre. Lo scenario peggiore prevede parte del nord controllato dagli Houthi, che potrebbero prendere anche Taez e Ibb, comunità che si ribelleranno al controllo sciita. Le regioni di Marib e al-Jawf finirebbero in mano alle tribù sunnite locali, quelle a sud (Socotra, Hadhramout, al-Mahara) si autogovernerebbero. E Lahj e Abyan potrebbero finire definitivamente in mano ad al Qaeda».
Uno scenario distruttivo, una divisione articolata a cui si aggiunge la voce dei fedelissimi dell’ex presidente Saleh: ieri il portavoce del cosiddetto Alto Comitato per la difesa delle forze armate (formato da militari ancora vicini al dittatore deposto) ha annunciato che il gruppo prenderà le armi contro qualsiasi interferenza esterna.
Ormai è guerra civile, risultato in parte del fallimento della strategia anti-terrorismo degli Usa, che negli ultimi anni dipingevano lo Yemen come modello riuscito della guerra a distanza con al Qaeda. Dopo la caduta di Saleh, Washington ha accettato la nuova leadership pro-saudita, senza tener conto delle istanze delle minoranze e di un popolo sceso in piazza per la democrazia, pur di salvare la guerra dei droni.
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