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Bonomi: «Referendum lombardo-veneti frutto della paura sovranista»

Bonomi: «Referendum lombardo-veneti frutto della paura sovranista»Il sociologo Aldo Bonomi

Intervista ad Aldo Bonomi «Non sono ottimista, si rischia lo scontro tra due entità - Stato e Regioni - deboli. Le differenze tra Milano e Venezia sono sociali e di reazione alla crisi. Il Pd ci ha capito poco»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 25 ottobre 2017

«Siamo passati dal sindacalismo del territorio dei tempo di Bossi al sindacalismo della paura, intriso di sovranismo. Lombardia e Veneto sono però realtà sociali e territoriali molto diverse e dunque è difficile prevedere quale sbocco possa avere la trattativa col governo anche perché Stato e Regioni sono entrambe realtà istituzionali in difficoltà. Il Pd come al solito ci ha capito poco e quindi sono pessimista sull’esito di tutta la vicenda».

Il sociologo Aldo Bonomi è uno dei massimi esperti di «questione settentrionale». Con il suo linguaggio unico ed affascinante descrive la situazione – «complessa» – scaturita dai due referendum di domenica.
Bonomi, si aspettava una partecipazione obiettivamente alta? Come legge l’esito dei referendum di domenica in Lombardia e Veneto?

In molti in questi giorni mi hanno contattato per chiedermi del riapparire della questione settentrionale. Io invece sostengo che si tratta di una questione territoriale. Intendo dire che quello che è successo va letto dentro i grandi processi di cambiamento in cui siamo immersi. Non siamo più di fronte al sindacalismo di territorio con annesse minacce di secessione di Bossi. Anzi, questa fase è stata sostituito dall’esatto opposto: il sindacalismo della paura, intriso di sovranismo.

Eppure se Zaia può gioire – e ora avanzare addirittura la richiesta di uno Statuto speciale – Maroni appare più in difficoltà e costretto ai piccoli passi.

In questo quadro appaiono i due referendum a trazione leghista di Maroni e Zaia. Ma leggerli solo con dentro la contraddizione del leghismo è insufficiente. Ritengo che siamo in presenza di fibrillazioni territoriali dentro il salto di paradigma, i flussi – banche, finanza, multinazionali, capitalismo delle reti, gig economy – che impattano sul territorio. E dentro questa fibrillazione non solo italiana ricompare la questione settentrionale che dentro i flussi prima descritti chiede uno spazio di rappresentanza.

Quindi le differenze politiche fra Lombardia e Veneto sono figlie di differenze sociali.

Dentro questo processo appaiono piccole, fredde passioni economiche – quelle che una volta avremmo chiamato struttura – e dall’altra grandi passioni che sostituiscono le ideologie e si basano sulle identità. Se noi applichiamo queste due categorie impolitiche ai due referendum ci troviamo davanti due situazioni assai diverse. Perché se in Lombardia abbiamo Milano – città regione che è un sistema che guarda a Bruxelles, ad avere l’agenzia europea del farmaco e non a Roma – dove sognano la California e non la secessione locale – e quindi non mi ha meravigliato che Milano non si sia scaldata per questo referendum – è pur vero che altri territori – la Pedemontana o le Valli – hanno invece altri problemi e guardano a Roma. In Veneto invece le grandi passioni non guardano avanti, guardano indietro, ai problemi creati dalla crisi. Dunque mentre in Lombardia la questione è il rapporto città globale – territori, in Veneto manca la città regione e non si avverte differenza tra città e territori.

Se i problemi sono diversi, anche gli sbocchi saranno diversi.

Il Veneto forte di questa spinta cercherà di ottenere un’autonomia forte lavorando sulla contrapposizione tra dimensione regionale e statale: una contrapposizione che si sta ridisegnando ma perché i flussi e la crisi hanno portato entrambe ad un salto debole nel cambiamento. Io spero che tutte e due le entità – Regioni e Stato – capiscano come affrontare i problemi sociali ed economici del cambiamento. Il tutto è reso più difficile dal fatto che entrambe si muovono in un quadro di risorse scarse e nemmeno il riequilibrio fiscale può essere la soluzione.

Il successo dei referendum è stato rivendicato anche da molti esponenti del Pd, primo fra tutti Giorgio Gori. Ma cavalcare quest’onda come trampolino per candidarsi contro Maroni per lui non è rischioso?

Da alcuni punti di vista ritengo che per l’ennesima volta il non percepire la dimensione del territorio e dei suoi problemi purtroppo lascia i temi sociali ed economici in mano alla Lega e alla destra. È chiaro che in questa situazione uno come Gori si trovi in mezzo e cerchi di utilizzare la questione, ma senza poterla dominare.

Mi pare di capire che non sia ottimista su come andrà a finire tutta la partita «autonomia».

Il problema sociale ed economico non si può gestire solo ragionando di industria 4.0, qui abbiamo territori interi che hanno subito la crisi e non si accontentano di un po’ di innovazione. Non sono ottimista. Quando poi le grandi passioni diventano fondamentalismi, mi preoccupo.

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