I quarant’anni di «Gundam», space opera pacifista
Maboroshi Nel 1979 andava in onda in Giappone la prima puntata di «Kido senshi Gundamu», serie animata prodotta dalla Sunrise e creata da Yoshiyuki Tomino
Maboroshi Nel 1979 andava in onda in Giappone la prima puntata di «Kido senshi Gundamu», serie animata prodotta dalla Sunrise e creata da Yoshiyuki Tomino
Il sette aprile del 1979 il canale giapponese Nagoya TV trasmetteva la prima puntata di Kido senshi Gundamu, una nuova serie animata che si sarebbe conclusa il gennaio dell’anno successivo. Il cartone animato nella sua prima messa in onda non riscosse un grande successo, ma i film di montaggio da questa ricavati fra il 1981 ed il 1982 cominciarono a penetrare nell’immaginario collettivo nipponico, diventando un fenomeno di costume planetario che ancora oggi, a quarant’anni dalla sua prima messa in onda, non sembra destinato a fermarsi. Conosciuta in Italia come Gundam, o Mobile Suit Gundam, la serie avrebbe rivoluzionato non solo il modo di intendere il mondo dei robottoni giapponesi, di fatto cambiandoli, ma avrebbe anche creato una narrazione ed una vera e propria saga interplanetaria ricca di tematiche adulte.
Prodotta dalla Sunrise e creata da Yoshiyuki Tomino, che traspose nella serie molti degli stilemi e dei temi già affrontati nei suoi lavori precedenti quali Daitarn 3 e soprattutto Zambot 3, Gundam rivoluzionò il mondo degli anime seriali per molti motivi. Prima di tutto i robot non erano esseri quasi fantastici e mitologici, ma piuttosto macchine da guerra di fattura realista e gehlaniamente estensione e completamento dell’essere umano. In secondo luogo proprio per questo motivo, i robot rappresentavano il campo dove si scontravano le varie ideologie e passioni umane.
Gundam è in questo senso una vasta space-opera dichiaratamente ispirata alle storie di Robert A. Heinlein, dove la domanda fondamentale attorno alla quale girano tutte le vicende è «perchè gli uomini continuano a farsi la guerra?» Si va ben oltre una concezione manichea dei buoni contro i cattivi, non ci sono gli alieni da una parte e l’umanità dall’altra, ma dei diversi gruppi che cercano di far valere le loro ragioni e la loro volontà di conquista con la forza. Il realismo non solo del design dei mecha, di questi nuovi robot, ma anche delle storie e delle ambientazioni, fa salire di livello il discorso che in quegli anni veniva portato avanti con l’animazione.
Dall’altro lato, l’epopea di Gundam, con i protagonisti membri della shin jinrui, la nuova umanità, nata e cresciuta al di fuori della terra e spesso dotata di diverse e potenziate capacità mentali e fisiche, è potuta proliferare e espandersi all’infinito anche per motivi più prosaicamente legati alle vendite di prodotti legati alla serie.
Non saremmo qui a scrivere di Gundam, non avremmo il Gundam a grandezza naturale a Odaiba, Tokyo, ne tantomeno avremmo avuto le trenta serie sviluppatesi in universi alternativi – manga, giochi e quant’altro – senza il colossale successo legato ai modellini dei robot prodotti dalla Bandai. Il franchise Gundam infatti ha lanciato uno dei fenomeni di costume più potenti e di lunga durata che la cultura popolare abbia mai prodotto, non solo la compagnia costruttrice di giocattoli Bandai si è arricchita con la creazione dei modellini di plastica dei mecha, i cosiddetti Gunpla, ma il successo è stato così esondante che nel 1994 la Bandai, a tutt’oggi una delle compagnie del settore più grandi al mondo, ha finito per comprare la stessa Sunrise.
Nel mare magnum di serie e prodotti multimediali in cui è facile perdersi, questo anniversario ci sembra allora una buona occasione per rivedere, o scoprire per la prima volta, anche per chi l’animazione non la segue, l’originalità delle prime serie, magari rivisitando i film tratti dal cartone animato ed il loro messaggio purtroppo sempre attuale, «perchè gli uomini continuano a farsi la guerra?».
matteo.boscarol@gmail.com
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