Economia

I prof over 70 rimangono in cattedra

I prof over 70 rimangono in cattedra

Università La Consulta smonta un pezzo della legge Gelmini: i docenti potranno avere la proroga di due anni

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 12 maggio 2013

I professori ordinari potranno continuare a insegnare all’università anche oltre i 70 anni. Con la sentenza numero 83 depositata il 6 maggio scorso, la Corte Costituzionale ha bocciato una delle battaglie simboliche della riforma Gelmini approvata a fine 2010, quella del “ringiovanimento” della classe docente. Per la Consulta è incostituzionale obbligare coloro che hanno fatto carriera negli atenei (cioè gli ordinari) e coloro che sono rimasti indietro (i semplici ricercatori) ad andare in pensione al compimento del settantesimo anno di età, negando la proroga di due anni concessa a tutti i dipendenti pubblici. La norma abolita dalla Consulta venne adottata per favorire l’accesso all’insegnamento universitario dei docenti più giovani. In realtà, l’abbassamento dell’età pensionabile doveva essere più drastica. L’unica indicazione che Gelmini accettò dal Pd, e in particolare dagli ex responsabili università e ricerca del partito Marco Meloni e Maria Chiara Carrozza (oggi ministro dell’istruzione), fu quella di ridurla da 70 a 65 anni. Eravamo nel pieno della retorica meritocratica che contrappose i “vecchi” al potere ai “giovani” precari, ma ben presto queste velleità mostrarono tutta la loro demagogia.
La riforma si limitò ad eliminare il “biennio Amato”, cioè il prolungamento della permanenza al lavoro che avviene nei casi in cui il soggetto non abbia raggiunto una pensione soddisfacente. L’intesa tra Gelmini e il Pd era surreale: per dare fiato alle trombe della campagna battente de Il Corriere della Sera avrebbero obbligato gli universitari ad andare in pensione prima di un operaio o di un piastrellista che si presuppone svolgano un’attività usurante. E infatti rinunciarono. Oggi la Consulta boccia persino l’intesa raggiunta tre anni fa dai partiti per salvare le apparenze e ripropone in una delle prerogative dei veri padroni dell’università italiana, i cosiddetti “baroni”. A differenza dei professori associati, gli ordinari potranno prolungare la loro permanenza al lavoro oltre i 70. Non solo. Nella sentenza i giudici costituzionali ribadiscono l’esigenza di mantenere in servizio i docenti in grado di fornire alla comunità accademica la propria «alta professionalità».
Questa sentenza rallegrerà tutti coloro che sono rimasti ancora in servizio negli atenei italiani, ma non servirà a bloccare l’esodo pensionistico in atto da almeno un biennio che raggiungerà un picco nel 2015 quando la generazione che lavora dalla fine degli anni Settanta lascerà in blocco la cattedra. Soprattutto non incide sulla parte sostanziale della riforma Gelmini e sul combinato disposto del blocco del turn-over voluto dall’ex ministro dell’Economia Tremonti e peggiorato dalla spending review di Monti.
Il vero non-detto di questa riforma è aver reso inaccessibile l’insegnamento universitario ai 60 mila precari ormai quasi tutti esodati dalle aule e privati dei finanziamenti minimi per ottenere un reddito dall’attività di ricerca. Le abilitazioni che dovrebbero permettere l’accesso ai concorsi per i ricercatori a tempo determinato, quelle gestite dal carrozzone dell’Anvur, sono ancora al palo. E comunque non ci sono fondi per assumere una quantità significativa di ricercatori tale da supplire al pensionamento di massa del personale universitario. Senza contare che i 25 mila ricercatori di ruolo, messi in esaurimento dalla riforma Gelmini, restano in un limbo da cui non sarà facile uscire senza riformare nuovamente la riforma.
Da questo punto di vista, la sentenza della Consulta garantisce un supporto giuridico ad un’esigenza economica drammatica: lo Stato non può permettersi di mantenere le pensioni degli ordinari, li mantiene al lavoro e risparmierà ancora per qualche anno sulle ricche pensioni destinate a queste persone. È lo stesso criterio seguito dalla riforma Fornero che ha innalzato l’età pensionabile. Nel frattempo continuerà la drastica riduzione dei laureati, degli immatricolati e dei corsi di laurea. Il sindacato Anief, che ha dato notizia della sentenza, ha chiesto al ministro Carrozza di adoperarsi per restituire dignità alla figura del ricercatore.

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