Cultura

I predatori di un’immagine virtuale

I predatori di un’immagine virtuale – Reuters

Internet Una iniziativa di «Terre des Hommes» sul mercato pedopornografico in Rete. Una bambina «non reale» chiedeva da un sito «civetta» di chattare. Ha ricevuto oltre mille proposte di mostrarsi nuda e fare sesso a pagamento

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 7 novembre 2013

«Mi chiamo Sweetie ho dieci anni e abito nelle Filippine». Il messaggio viene postato su diverse chat e dopo pochi secondi appaiono le prime risposte: «Sei disponibile per un incontro in webcam?», e parte così un’altra giornata della bambina che si spoglia davanti alla video camera mentre, dai cinque continenti, uomini di tutte le età e di ogni ceto sociale si masturbano di fronte alle immagini della ragazzina. In un mese di permanenza di Sweetie in chat ci sono stati più di ventimila contati, disposti a pagare con carte di credito prepagate le sue prestazioni sessuali. Ma c’è un piccolo dettaglio che fa di questa storia, una delle tante, (secondo le Nazioni Unite e l’Fbi, ad ogni ora del giorno ci sono almeno 750mila pedofili connessi on line) qualcosa su cui riflettere: Sweetie è un essere virtuale, creata attraverso un computer con un programma sofisticato di animazione che la rende, in immagine, simile da una bambina vera. L’idea è stata della Ong «Terre des Hommes» che da decenni si occupa di contrastare lo sfruttamento sessuale dei minori.

Sweetie ha così raccolto, attraverso le tracce lasciate dai suoi clienti, un migliaio di profili di pedofili on line, che sono stati poi consegnati all‘ Interpol. Nonostante il Wcst (webcam child sex tourism) sia infatti un crimine in tutto il mondo, e le Nazioni Unite abbiano stilato delle norme che rendono illegale questo tipo di violenza sui bambini, sino ad oggi solo sei pedofili sono stati denunciati e perseguiti. Un numero risibile rispetto anche solo alla dimostrazione fatta attraverso Sweetie.

La ong, infatti, subito dopo la raccolta dati ha lanciato, insieme al video di denuncia, una petizione internazionale (http://www.youtube.com/sweetie) che chiede un coinvolgimento pro attivo delle forze di polizia internazionali a fronte di un reato perpetrato nel cyberspazio ed in crescente espansione. Pensare che la criminalità organizzata a livello globale, che sempre più spesso dirige anche questi network di pedopornografia on line, si possa contrastare ancora giocando a guardie e ladri come facevano Totò e Aldo Fabrizi, significa lasciare campo libero ad una economia criminale la cui zona grigia si estende oramai su gran parte di quella considerata legale.

Ma Sweetie fa riflettere anche da un altro punto di vista, forse quello più importante al fine di comprendere il fenomeno. Com’è possibile non cogliere la differenza che passa tra una bambina vera ed un bambina virtuale? Non è solo una questione di sofisticazione tecnologica: Sweetie appare reale solo per chi abbia lo sguardo schermato che caratterizza quelli che vivono le loro trasgressioni attraverso un video, o che hanno oramai delegato alla virtualità anche l’accesso e la pratica dei desideri che una volta davano un senso alla vita reale. È lo schermo che rende Sweetie reale anche se non lo è: se il mezzo è il messaggio, nel tempo della comunicazione virtuale l’immagine è la realtà. La verisimiglianza di Sweetie dipende dal fatto che ogni relazione tra quel che il pedofilo vede e quel che accade è talmente sottoposta ad una torsione del desiderio al punto da ridefinire la natura della realtà.

Il Novecento non è stato, secondo Paul Virilio, il secolo dell’immagine ma quello della «illusione ottica», della conoscenza come effetto di un gioco di specchi che trae profitto dai limiti visivi del testimone. Con il nuovo millennio siamo forse entrati nell’epoca dell’«elusione ottica», come diceva il geografo Farinelli, dell’immagine che proprio in virtù del suo sottrarsi rispetto a ciò cui siamo abituati e perciò ci aspetteremmo, ridefinisce il nostro sguardo sul mondo.

La virtualità di Sweetie non è dunque un fenomeno incidentale, un inganno, una temporanea sospensione del regime di visibilità ma, al contrario, la sua immagine lontana diviene costitutiva del rapporto tra quel che di decisivo succede a causa della sua visione e la nostra idea del mondo. Per questo è facile confondere Sweetie con una bambina reale; lei, allora, non è tanto una costruzione artificiale quanto un vero e proprio Avatar, una copia idealizzata di quelle migliaia di bambine e bambini che, ogni momento, vengono adescate o vengono messe a disposizione dei clienti. Per questo chi si giustificherà dicendo che Sweetie era un inganno sarà condannato lo stesso poiché, paradossalmente, ciò che essi hanno violato è ciò che Sweetie meglio esprime anche attraverso la sua virtualità: l’anima immortale di ogni bambino.

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