I poeti al fronte e ‘La Riviera Ligure’
«Caro Cellino, anzi uccellino, (…) io ho avuto molta gioia dalla tua letterina che ha lettere così grandi. E ci ho imparato molto. Io ora so qual è la più bella delle mie poesie. (…) La più bella è quella che piace più a te, che sei un bambino (…) e che giudichi secondo natura. Ora, siccome ho imparato da te quale è la più bella, cercherò, di qui innanzi, di farne molte simili a quella, e così farò altre cose belle». A firmare è Giovanni Pascoli e la lettera, del 2 aprile 1905, è indirizzata a Cellino Novaro, che ha appena sei anni. Si tratta del figlio di Mario Novaro, il direttore della «Riviera Ligure» con cui Pascoli collabora già dal 1900, quando Novaro ha da poco assunto la direzione della rivista trasformandola, da bollettino commerciale dell’oleificio Sasso, nell’importante antologia letteraria che sarebbe stata fino al 1919 e che avrebbe appunto ospitato, fra tanti inediti, numerosi testi pascoliani poi stampati nei Canti di Castelvecchio (così anche il preferito di Cellino, Oh Valentino vestito di nuovo, che Novaro gli leggeva la sera).
La vita della «Riviera» interseca quindi gli eventi determinanti della storia letteraria del primo Novecento: quando scoppia la guerra e nel 1915 l’Italia si schiera, la rivista prosegue le attività continuando a guadagnare collaboratori (i cui nomi talvolta diventeranno grandi, come nel caso di Clemente Rebora e Dino Campana) e saldando i rapporti con le firme precedenti (per esempio Marino Moretti e Camillo Sbarbaro). Non è però solo la collezione dei testi raccolti dalla «Riviera» – già interamente digitalizzata e consultabile online – a delineare il quadro di quasi vent’anni di poesia e prosa del ventesimo secolo: sono anzitutto le lettere inviate dai collaboratori al direttore a offrire una preziosa testimonianza del dibattito culturale e delle rivoluzioni storiche del periodo.
Il progetto di edizione della corrispondenza fra Mario Novaro e i poeti della rivista, conservata negli archivi della Fondazione Mario Novaro di Genova, è iniziato nel 1980 con l’inaugurazione della collana Lettere a «La Riviera Ligure», che ha raccolto per la cura di Pino Boero il carteggio dal 1900 al 1905 in un primo volume (tra gli inediti figura la nota di Pascoli a Cellino). Oggi, la serie ha raggiunto la sua sesta pubblicazione, curata da Stefano Giordanelli e introdotta da Veronica Pesce, Lettere a «La Riviera Ligure», VI, 1916 (Edizioni di Storia e Letteratura, pp. XVI-400, € 44,00): anche in questo caso, la corrispondenza si offre come un semenzaio prezioso di informazioni sui poeti della «Riviera», che nel 1916 sono talvolta impegnati al fronte. È il caso di Piero Jahier, richiamato a febbraio come sottotenente a Belluno presso il Battaglione Alpini («felice nella neve, nel fango, nelle fatiche») da dove invia gli inediti per i quali si fa pagare in olio, e di Ardengo Soffici, ufficiale a Pistoia «in attesa di destinazioni più guerriere». Il conflitto mondiale ha già iniziato a mietere vittime – la vedova Slataper, Luisa Carniel, chiede al direttore i numeri contenenti gli scritti del marito Scipio, caduto sul Podgora nel 1915 – ma le lettere raccontano anche «il grigiore dell’esistenza di chi non è al fronte», come Umberto Saba, che riesce a farsi deporre dall’incarico di soldato scritturale al Ministero: invierà alla «Riviera» i suoi Versi militari.
Il carteggio riunito in questo volume dice insomma della crisi aperta dalla Grande Guerra, una crisi anche economica: colpisce in tal senso la disperazione di Govoni, che a Ferrara aveva avviato un allevamento di polli («non mancherà più il pane per i miei bambini») e che inviando a Novaro le sue «prosacce (…) scritte (…) lottando maledettamente col sonno» si confida sulla propria attività letteraria, prima con rassegnazione («Che cosa importa se non scriverò più nulla?») e poi con entusiasmo, avuta notizia della monografia che gli preparava Lionello Fiumi, a sua volta fra i collaboratori del periodico («si pubblicherà presto un libro sulla mia poesia (…), pensa! E tutto questo in tempo di guerra!…»).
Ma la corrispondenza con il direttore dice anche di altre tensioni, per esempio quella tra Dino Campana e gli ex-direttori di «Lacerba», dai quali il poeta stava ormai da anni tentando di recuperare il manoscritto smarrito de Il più lungo giorno: le sue lettere irriverenti, scritte a metà fra italiano e francese («oggi in poesia ci sono troppi rospi e troppi anfibi di una fantasia e di un gusto che non saprei meglio definire se non come quelli d’un paysan qui aurait lu Baudelaire – la qual cosa è poi forse la migliore che si possa dire di Papini») generano un ironico gioco linguistico fra Novaro e Giovanni Boine, che si divertono a prendere in giro lo «stile campaniano» delle missive e, forse, dei Canti Orfici (così Boine, che è la seconda anima della rivista, a gennaio scrive a Novaro che «queste notti proprio colo come sangue», mentre ad agosto si dice «vagare (…) come uno sbrendolo di nebbia (…). Questa lettera è uso Campana ma le cose sono così»).
Le lettere conservate presso l’archivio Novaro sono, all’incirca, 1500: oltre a incarnare un patrimonio documentario eccezionale per quanto riguarda la filologia genetica dei testi editi sulla «Riviera» e a inquadrare le relazioni di alcuni dei maggiori autori del secolo scorso, la loro biografia e, talvolta, la loro poetica, la pubblicazione della corrispondenza consente anche di rilevare il calibro di Mario Novaro come mediatore culturale centrale nella storia del primo Novecento: l’ultimo numero della rivista sarà infatti interamente dedicato ai Trucioli, ma già nel luglio del 1916 Govoni poteva affermare che fosse stato proprio il direttore dell’antologia ligure «a rivelare Sbarbaro».
Come accade per Pascoli, Boine, Moretti e lo stesso Govoni, il legame che Novaro instaura con i collaboratori è spesso di amicizia. Ne sono testimonianza le numerose missive che durante l’anno gli chiedono notizia del primogenito, Guido, stanziato al fronte. In quello stesso 1916 il secondogenito, Cellino, compie diciott’anni, e nell’aprile del ’17 sarà chiamato alle armi. Il 18 dicembre morirà sul Massiccio del Grappa, per una ferita accidentale.
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