Editoriale

I pericoli della comunicazione violenta di Grillo

I pericoli della comunicazione violenta di GrilloBeppe Grillo di fronte all'Ariston durante l'ultimo festival di Sanremo

M5S Se l’ex comico andasse al governo il suo nuovo nemico sarebbe la democrazia stessa

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 22 maggio 2014

Ho l’impressione che, dalla nostra parte, vi sia troppo silenzio, e nessuna critica, alla campagna elettorale di Beppe Grillo. Come se si temesse di cadere dal lato di Renzi. Ma noi dovremmo avere una opinione nostra, sull’argomento. Perciò mi permetto di suggerire qual è l’interpretazione del fenomeno. Ricapitoliamo.

Beppe Grillo è con i Forconi e con i poliziotti che si tolgono i caschi. È anche con i secessionisti veneti: «In Veneto – ha scritto sul suo blog – si stanno facendo le prove generali per la secessione sotto gli occhi stupiti di giornalisti post datati e di storici da strapazzo». Dopo gli scontri a Roma in aprile, protagonisti i movimenti per la casa, Grillo era invece con loro e contro i poliziotti. Nell’ultima uscita a Torino ha detto che i poliziotti «sono con noi». Grillo è per sottoporre Dudù, il cane della fidanzata di Berlusconi, alla vivisezione, poi corregge: da vivisezionare è Berlusconi. Grillo si proclama «oltre Hitler», poi chiarisce: come Charlie Chaplin in Il dittatore. Renzi è «un ebetino» che ha dato «linguate al culone di Angela Merkel». Berlusconi è una «salma». Quello attuale è un governo «delle laide intese». Su Lampedusa, Grillo a suo tempo scrive: «Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di “vergogna e disonore”»; poi rilancia il post di un affiliato, che dice: «Questa gente va educatamente, ma con decisione rispedita a casa… Non hanno alcun motivo per venire da noi. Primo per la situazione che vive l’Italia a livello economico, secondo perché già abbiamo una densità di popolazione più alta della Cina, terzo perché non sono rifugiati politici né profughi di guerra». Grillo e Casaleggio infine smentiscono i senatori cinquestelle che volevano l’abolizione del reato di immigrazione clandestina. E ora, a proposito dell’euro, scrive: «È necessario un piano B nell’eventualità che si debba tornare alla lira» e annuncia un referendum sulla moneta unica «se vinciamo le elezioni».

Sono solo esempi, pescati a caso dalla pioggia di post, insulti, invettive, prese di posizione senza appello, derisioni e battute. In un’intervista al manifesto, Barbara Spinelli dice che con il Movimento cinquestelle la Lista Tsipras può trovare molte convergenze: alcune delle proposte rispettive sono «identiche». E anche al parlamento europeo, aggiunge, si potranno trovare intese. Se si sta alla lettera dei programmi, quel che dice Spinelli ha un fondamento (se si tralascia la non secondaria questione dell’immigrazione, naturalmente, oltreché l’ondeggiamento sull’euro). Ma probabilmente leggere i programmi non è sufficiente a capire cosa sia quel Movimento, e come lo gestisca il suo fondatore e capo indiscusso.

Le etichette, come il molto usato «populismo», non servono a gran che. Grillo, semplicemente, dà voce a un diffuso furore contro ogni tipo di potere, di politica: sentimento che ha, beninteso, una fortissima ragione. Ma lo fa usando, come spunto polemico, ogni avvenimento che si presti allo scopo. Se si dicono cose contraddittorie o anche opposte, non importa. I media sono alla ricerca di enormità, insulti, battutacce, e i redattori politici ogni mattina si svegliano chiedendosi: «Che dirà oggi Grillo?». E lo fanno perché così li ha abituati Silvio Berlusconi in vent’anni di quotidiana esibizione sui media. Infatti il capo di Forza Italia oggi, nel suo lungo tramonto, è costretto a inseguire: Grillo vuol fare la marcia su Roma? No, la faremo noi. O ancora: Grillo non è come Hitler, è come Stalin, come Pol Pot, è un sanguinario.

Ma questo stile, ossia questa legge della comunicazione all’epoca di internet, è la stessa che ha permesso a Matteo Renzi, di conquistare prima il Partito democratico e poi Palazzo Chigi. La «rottamazione», termine violento, ne è stata il cardine. Ma poi ci sono la «velocità», la «rivoluzione», gli esecrati «professoroni», gli «sciacalli» che «puntano alla crisi del paese», la «patria» che i giovani sono chiamati a servire con il servizio civile, fino al «votate chi vi pare ma non i pagliacci», probabilmente un errore, quest’ultimo, perché accomuna il Pd a tutti i partiti nel mucchio dell’odiata politica. E però è un passo necessario: l’avversario più pericoloso, per Renzi, è Grillo. E comunque tutto si tiene: lo spettacolo a cui stiamo assistendo è quello di «tre leader» (con tendenza a diventare due) che si azzuffano sguaiati.

Ma è comunque Grillo a prevalere in questa fiera dei denti che digrignano. Usando il registro della satira e sovrapponendolo totalmente a quel che dovrebbe essere il discorso pubblico, quello della politica, che richiederebbe capacità di mediazione e una qualche inclinazione ad approfondire i temi con onestà intellettuale, stimola sentimenti di odio, di aggressione al «nemico», i più disparati. Perché la regola, nelle elezioni dominate dai media (e tutte le elezioni lo sono), è «coprire» più territorio possibile, mettendo insieme le spinte e le visioni delle cose più diverse. In effetti, l’insorgenza del «popolo grillino» assomiglia a una smisurata assemblea di condominio, dove persone diverse che mal sopportano il vicinato si scontrano, spesso con una violenza incomprensibile, per tutelare gli interessi individuali di ciascuno. L’articolazione del discorso, la complessità, sono percepiti come ostacoli, qualcosa che divide. Il disprezzo di Grillo per gli intellettuali (che, come tutto il resto, si appoggia su una situazione effettivamente deplorevole) ha questa radice.

E così è che tiene insieme gente di destra e di sinistra, chi dà la colpa alla massoneria e chi alle multinazionali, chi vorrebbe cacciare tutti i «clandestini» e chi accoglierli? È solo e soltanto Grillo, che dà sempre l’impressione che mandare tutti «affanculo» sia un atteggiamento vincente. Se la sinistra è reduce da sconfitte e divisioni e propone un lessico invecchiato (salvo eccezioni), ecco che l’intransigenza, la capacità di «bucare» i media, il disprezzo esibito per chi si presenta come «autorità» (chiunque), attraggono irresistibilmente e indifferentemente. E se Grillo dice cose che non si condividono, si tratta solo di intemperanze che non compromettono la missione unica: mandare tutti a casa.

Già, ma per fare cosa? L’idea di fondo, mai esplicitata completamente, è che le istituzioni sono neutre, sono delle scatole che, caso mai, devono recuperare la sovranità ceduta o perduta per trasferirne quote consistenti al cittadini. Se le istituzioni fossero svuotate di tutti quelli che attualmente le abitano, dal Quirinale in giù, e riempite di persone comuni, di cittadini qualunque, ecco che la «rivoluzione» sarebbe avvenuta.

Domanda: ma la violenza ostentata nel modo di comunicare di Grillo, e l’affidamento indiscutibile dei singoli al capo, nel caso in cui Grillo e Casaleggio formassero un governo, in cosa si trasformerebbero? Dove si troverebbe (inventerebbe) un nemico, considerato che di questo ha bisogno quel modo di essere del Movimento cinquestelle?

Forse, come già succede, il nuovo (vecchio) nemico non sarebbe altro che la democrazia stessa.

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