Lavoro

I pensionati al minimo vivono sotto la soglia di povertà

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Il rapporto Cupla Il 44% degli assegni sotto i 1000 euro lordi, persi molti punti di potere d'acquisto a causa del fiscal drag e dei mancati adeguamenti

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 25 settembre 2014

Ben 7,4 milioni di pensionati, il 44% del totale, vive in una condizione di semipovertà, con un assegno inferiore a 1000 euro lordi mensili (e si sottolinea “lordi”: al netto, si deve parlare di circa 800 euro). Ma non basta, l’emergenza riguarda ovviamente, e soprattutto, i pensionati al minimo, il cui reddito mensile risulta di ben tre punti percentuali al di sotto della soglia di povertà assoluta. I dati vengono da un rapporto curato da Cupla (pensionati del lavoro autonomo) e Cer (centro ricerche economiche).

Lo studio, presentato dal presidente di Cupla Renato Borghi e dal professor Sergio Ginebri, ha preso in considerazione il periodo 1995-2013, partendo quindi dalla riforma Dini. La ricerca evidenzia che le condizioni di disagio sociale e di vera e propria povertà tra i pensionati si sono aggravate a causa della pressione fiscale e dell’insufficiente adeguamento delle pensioni ai prezzi. Inoltre, l’aumento delle addizionali locali e il mancato recupero del fiscal drag (drenaggio fiscale) hanno ridotto ulteriormente il potere d’acquisto.

L’area del disagio cresce innanzitutto tra i pensionati più poveri: a partire dal 2009 le pensioni basse e medio-basse hanno registrato – al netto del prelievo fiscale – una perdita di potere d’acquisto di oltre il 4%. Inoltre, come già detto, le pensioni più povere si collocano oggi oltre tre punti percentuali al di sotto della soglia di povertà assoluta.

Le pensioni al di sopra dei 1.500 euro non godono più di un recupero pieno dell’inflazione. La perdita che ne consegue rispetto all’andamento dei prezzi al consumo è consistente, risultando compresa fra il 2 e il 7%. Il ridimensionamento del potere d’acquisto è stato particolarmente pronunciato nel 2010-2013, ossia nel pieno della crisi economica. E il futuro porterà peggioramenti: le misure introdotte con la legge finanziaria 2014 accentueranno ulteriormente la perdita di valore delle pensioni.

Quali le possibili soluzioni? Il Cupla, che rappresenta 5 milioni di pensionati del lavoro autonomo – spaziando da Confcommercio a Cna, da Confagricoltura a Coldiretti – traccia una possibile ricetta. In primo luogo, vanno adeguati gradualmente i trattamenti minimi al 40% del reddito medio nazionale, cioè da 500 a 650 euro mensili come ci chiede, del resto, la carta sociale europea.

Per difendere le pensioni, soprattutto quelle più basse, si deve dare inoltre maggiore attenzione al meccanismo di indicizzazione. L’aumento di costo dei servizi sanitari, delle case di cura, delle spese di accesso al servizio sanitario nazionale colpisce infatti questa categoria in misura maggiore rispetto al resto della popolazione. Queste voci dovrebbero trovare un maggiore riconoscimento nel sistema di adeguamento.

C’è poi anche il nodo degli 80 euro: devono essere estesi anche ai pensionati a partire dalle fasce più basse di reddito. E ancora: per ristabilire «un minimo di equità e giustizia sociale non è più differibile l’ampliamento della «no tax area» ad almeno 13 mila euro (importo pari a due volte quello del trattamento minimo annuo delle pensioni Inps).

Infine il Cupla chiede a governo e amministrazioni locali di prevedere detrazioni Tasi per gli anziani che abitano soli nella casa di proprietà e abbiano redditi al di sotto di 13 mila euro (se single) o di 19.500 euro se in coppia, e di escludere dall’imposta gli anziani non autosufficienti o ricoverati in case di riposo.

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