Politica

I paletti di Barbera alla destra: «Meglio evitare il referendum»

I paletti di Barbera alla destra: «Meglio evitare il referendum»Il neo-presidente della Corte Augusto Barbera – Ansa

Corte Costituzionale Il neo-presidente si insedia, cita la sua storia di riformista ma rivendica l’equilibrio dei poteri. Poi manda un messaggio agli allarmisti: «L’occupazione della Consulta da parte della destra è impossibile»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 13 dicembre 2023

Per i prossimi dodici mesi, quando scadrà il suo mandato di giudice costituzionale, Augusto Barbera sarà presidente della Consulta. È stato eletto ieri all’unanimità dai quattordici membri della Corte (una scheda bianca, la sua). Manca il quindicesimo, che deve essere indicato dalla maggioranza di due terzi del parlamento. Si rischia che questa nomina tardi ad arrivare, anche se il neo-presidente ieri ha auspicato che la Corte operi al più presto a ranghi completi.

APPENA ELETTO, ieri Barbera si è sottoposto alle domande dei giornalisti. In poco più di un’ora ha rispettato la sua biografia politica e culturale. Ha rivendicato di aver lavorato (anche da deputato del Pci prima e del Pds poi) alle riforme e ai tentativi di riforma che si sono succeduti alla fine della Prima repubblica, ha citato il passaggio al maggioritario e l’elezione diretta del sindaco, ma poi ha infilato tra le righe delle sue risposte i paletti costituzionali e le possibili linee problematiche del progetto della destra. «Ho fatto le battaglie per le riforme – ha ricordato Barbera – Questa è la mia vita precedente. Ora non posso più occuparmi di tutto ciò se per non rivolgere l’auspicio delle strade costituzionali». Ed eccolo, il primo auspicio: che le riforme si compiano con la maggioranza dei due terzi, la stessa che la destra non riesce a guadagnare neppure per scegliere il giudice mancante. Tutti i giudici preferirebbero questa maggioranza qualificata, spiega Barbera, perché l’intervento del voto popolare tramite referendum è un «second best». Le riforme, prosegue, «non devono essere in contrasto coi principi supremi». «I principi fondamentali si trovano nella prima parte della Costituzione – scandisce Barbera – La seconda, invece, può essere modificata». Di più: per Barbera «lo stesso costituente volle lasciare alcune pagine aperte», «anche perché ciascuno dei due schieramenti temeva che il voto 18 aprile del 1948 avrebbe fatto saltare gli equilibri».

DAI SOSPETTI reciproci dell’epoca deriverebbe «un sistema di governo debole». Barbera procede a un rapido excursus che prende le mosse dall’unità d’Italia: «Lo statuto Albertino ignorava le prerogative del capo del governo anche se Cavour se li prese de facto. Durante il fascismo crebbero e i costituenti guardarono con sospetto a questa figura ai costituenti». Fino a oggi, quando chi siede a Palazzo Chigi «non può licenziare neanche un sottosegretario nonostante i poteri siano aumentati, vedi le partecipazioni al Consiglio europeo che implicano la possibilità di far prevalere le decisioni del presidente del consiglio anche sui singoli ministri». Alcuni poteri chi guida l’esecutivo se li è presi negli anni: Barbera cita i «maxi-emendamenti» (che definisce «obbrobriosi»), il ricorso al voto di fiducia e la decretazione d’urgenza. L’altro corno della questione ha a che fare con la legittimazione dal modo in cui il presidente del consiglio conquista la maggioranza. Il Porcellum venne bocciato perché prevedeva un premio senza base minima: «Bisogna evitare che una maggioranza relativa molto bassa abbia una maggioranza assoluta», rievoca. L’altro paletto sono i voti di preferenza: si possono evitare ma «con collegio uninominale o con collegi piccoli che siano in grado di rendere conoscibili agli elettori le candidature». Quanto allo sbarramento, ricorda che la Corte ha considerato legittimo quello del 4% in vigore nella legge elettorale per le europee. A proposito di equilibrio di poteri, Barbera considera irrealistici gli allarmi circa l’occupazione della giustizia costituzionale da parte le destre. E precisa, con una punta di sarcasmo: «A meno che non vengano cambiate le regole, magari per fare come in alcuni paesi dell’est Europa».

L’EVOLUZIONE dei diritti delle donne è un escamotage per disegnare il rapporto dialettico tra Corte, politica e mutamenti sociali. Verrebbe quasi da dire tra processi costituenti e potere costituito, specie quando Barbera precisa che il giudice non si limita a recitare un articolo di legge ma deve interpretarlo in base al contesto sociale e alla situazione politica. Lo fa rivendicando con orgoglio il ruolo della Consulta nell’aprire la magistratura e alle cariche pubbliche, nel decretare l’illegittimità del reato di adulterio che il codice Rocco prevedeva solo per le mogli. E la sentenza che ha aperto la strada alla legge 194 sull’aborto. Questo per dire che cambiare è possibile. Anche se, sottolinea ancora una volta allusivo, «nessun giudice può muoversi da solo e nessuna maggioranza può prescindere dai giudici».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento