Si è conclusa ad Addis Abeba la Conferenza mondiale sulla Finanza per lo Sviluppo. Sul tavolo i mezzi per finanziare i cosiddetti «Obiettivi per lo sviluppo sostenibile» che, dal novembre di quest’anno saranno il quadro di riferimento globale per i prossimi quindici anni.

L’Italia, fanalino di coda Ue con il suo derisorio 0,2% del Pil, è stata rappresentata da Renzi che, tra i pochissimi Capi di Stato e di Governo presenti, ha enfatizzato la necessità di legare cooperazione, sviluppo e gestione dei flussi migratori in ambito comunitario attraverso nuove regole di accoglienza, anche cercando di gestire il problema alla radice, creando cioè opportunità di lavoro nei Paesi di provenienza, nonché dichiarando la correlata necessità che il nostro Paese, in linea con le decisione Ue, incrementi la quota di PIL dedicata a queste attività. Vedremo.

Ma, al di la della posizione italiana, in generale le Ong internazionali presenti al vertice hanno emesso un comunicato congiunto molto critico su alcuni punti cruciali del documento finale sottolineando come, in particolare, la proposta di un organismo intergovernativo sotto egida Onu, auspicata tra l’altro anche dagli stati africani riuniti nel cosiddetto Gruppo del G77, non è passata; è stata, infatti, prevista una diversa modalità di selezione per il comitato di esperti, che saranno indicati dai governi e nominati dal Segretario generale dell’Onu. Una mediazione dalla quale si è di fatto dissociato il gruppo del G77, che nello statement finale a cura del Sud Africa, ha richiamato il fatto che la costituzione di un vero e proprio organismo intergovernativo in tema di cooperazione rimane una questione aperta. La reazione complessiva delle organizzazioni della società civile mette in evidenza anche la mancanza di progressi significativi in altre aree cruciali, dai volumi di aiuto pubblico allo sviluppo, a nuovi meccanismi per affrontare le crisi del debito e alla democratizzazione delle istituzioni finanziarie internazionali.

Al di la di queste critiche, che già gettano una ipoteca sulla volontà reale dei paesi più forti di pareggiare le opportunità con quelli fornitori di materie prime, in particolare africani, nel documento finale per la prima volta in questo tipo di accordo, viene nominata, accanto all’onnipresente settore privato, una figura che sembrava relegata al passato, quasi ottocentesca, quella cioè del «mecenate». Si legge infatti al punto 10 che: «I partenariati multilaterali, le risorse, le conoscenze e il saper fare che possiedono il settore privato, la società civile, la comunità scientifica ed universitaria, i mecenati, e le fondazioni avranno una funzione importante, che consisterà nel mobilitare e scambiare conoscenze, risorse tecniche e risorse finanziarie, per accompagnare l’azione dei Governi ed appoggiare così la realizzazione degli obiettivi di sviluppo durevoli, particolarmente nei Paesi in via di sviluppo».

Ora, se consideriamo che, secondo il Global Wealth Report 2014, del Credit Suisse, la più attendibile ricerca del settore, la ricchezza dei privati a livello globale ha raggiunto nel 2013 la cifra di 263 mila miliardi di dollari, cioè più del doppio dei 117 mila miliardi del 2000, e che la concentrazione di queste ricchezze private, che sono per inciso di molto superiori a quelli di tutti gli Stati e Governi messi insieme, vede nelle mani dell’1% della popolazione ben il 41% di questa cifra, mentre un altro 10% ne detiene un restante 86%, e soltanto l’1% è nelle mani della metà più povera del pianeta, ebbene appare chiaro come il richiamo ai privati e alle loro Fondazioni, e ai mecenati, sia la vera novità di questa fase, che incardina tutto l’impianto sviluppista nella compassione dei Rockerduck di turno, ovviamente tutti molto interessati a determinare ulteriormente il modello di crescita globale.

Non a caso il Papa ha voluto separare concettualmente crescita e sviluppo, individuando nella malintesa centralità della quantità la fonte delle ineguaglianze. Un altro passo verso la privatizzazione delle politiche estere, con gli Stati e Governi come garanti di questa deriva? Il rischio è attuale e la vigilanza, specie da parte delle sinistre, deve essere all’altezza di questa nuova sfida.